Il continente bianco. Il gioco della sopraffazione
Recensione a cura di Francesca
La vendetta degli dei. Da tragedia a show comico

Siamo dentro una partita a scacchi già decisa, nonostante l’avversario provi debolmente ad opporsi, in questa scacchiera i bianchi prendono tutto: Il Continente bianco.

Occorre stomaco per leggere questo romanzo e occorre tanta curiosità, quella apparentemente innocente che rischia quasi di ucciderti.

Sicuramente a farsi male saranno soprattutto gli altri, quelli che decidiamo di annientare, di sopraffare non solo fisicamente, ma soprattutto mentalmente.

l gioco del gatto col topo è chiaro, la via di scampo lo è sempre meno.

Schiacciare la minoranza colpevole di occupare i luoghi scartati dalla razza eletta, disgregare e separare goccia dopo goccia i popoli immigrati.

Sporchi, scuri, detentori di una lingua che qui non viene capita, occupanti di posti di lavoro che spetterebbero sempre e solo ad un italiano puro.

Allora ci appostiamo di nascosto, nei luoghi dove la luce non arriva, fino all’arrivo della puttana nera e del cliente bianco. Paura, botte, sangue.

Disgusto dentro il disgusto.

Tutto avviene sotto gli occhi cavi del Duce che, anche se non c’è più, tutto sa.

Il continente bianco è un libro che fa molto male.

Sanguino nel leggere di ciò che accade al giorno d’oggi.

Poi mi dico che è solo un libro e che è tutto inventato, mi illudo, cerco attenuanti inesistenti pur di non accettare che una parte oscura della storia venga inneggiata e usata per commettere delitti.

Un libro sporco di fango e liquidi corporei, intriso del male più oscuro.

Proprio della fascinazione del male ci parla mirabilmente Andrea Tarabbia, e di quella morbosa voglia di scoprirne l’origine, ciò che porta alla creazione del Continente Bianco.

Fare il male, e pensare a qualcosa che si ama persino.

Tarabbia affascina, la sua narrazione non lascia scampo, trascina a fondo senza farci rendere conto che il baratro ci sta ingoiando.

Ho gridato “ Stronzo, cosa diavolo stai facendo?” tante volte dentro questa sadica storia.

Il continente bianco crea la sua narrazione da un romanzo incompiuto: L’odore del sangue di Goffredo Parise.

Incontriamo infatti lo psicologo, la moglie dello psicologo e il giovane estremamente affascinante e consapevole del suo potere.

Una parte della narrazione si svolge proprio all’interno della casa e dello studio dello psicologo e di sua moglie.
Le sedute di terapia sono uno scambio talmente intenso e profondo che ad un certo punto non c’è più un confine netto fra il dolore e la morbosità dei due.

Fino a che punto ci si può lasciare affascinare dal male, fino a che punto si può arrivare credendo di potersi tirare fuori.

Il Continente bianco indaga il male ammantandolo di purezza, estremizza la morbosità e striscia come il serpente che appare più volte nel racconto.

Striscia e scava alla ricerca dell’estremo, della dominanza, del plagio.

Marcello Croce, luminoso nella sua bellezza quasi eterea, è il detentore del potere.

Un maestro degli scacchi, muove esseri umani gonfi di ideali, sottomette e schiaccia in nome dell’amore.

Nella blasfemia più estrema Tarabbia plasma una creatura quasi divina, gli attribuisce un cognome che ci riconduce sempre al pensiero di purezza e lo trasforma nel diavolo tentatore.

Si , quel ragazzo era bello di una bellezza insolita,

insieme nordica e nevrastenica,

e l’incontro con questa bellezza per qualche motivo mi inquietò …
Il suo nome era, come avrei saputo di lì a pochi giorni, Marcello Croce.

Un bianco atroce, che ingoia ed elimina tutto ciò che non combacia perfettamente all’ideale di purezza e ai valori decantati dagli appartenenti al Continente bianco. Niente deve rischiare di macchiare il bianco assoluto, nemmeno il sangue delle zecche.

La purezza mette una linea bianca tra ciò che è nostro e ciò che è altrui,

tra ciò che può continuare a vivere e ciò che, invece, può e deve morire.

La lotta al diverso però non si concentra soltanto verso i popoli che si trovano ai margini del sistema sociale, anche la borghesia, a cui il Continente bianco non appartiene, viene derisa e abusata.

Ne è la personificazione Silvia, sfruttata, plagiata e violata fino alla fine.

Un libro che ci parla di sfida oltre i limiti, di continua ricerca dell’estremo in nome di valori e perfezione, nel nome di quell’amore oscuro e deforme che amore non è.

Si può amare ed odiare profondamente un libro?

Il Continente Bianco ha suscitato in me questa dicotomia.

Ne ho amato follemente la narrazione che ammalia e spinge la curiosità ad approfondire argomenti e situazioni dalle quali, nella realtà preferirei evitare.

Un libro candidato al premio Strega che si colloca tra i primi posti nella mia personale lista delle preferenze.
A Proporre il Continente bianco è stata Daria Bignardi con la seguente motivazione:

È un romanzo forte, elegante, complesso, sul fascino del male ma soprattutto sul fascino della letteratura e dello scrivere. La storia di Silvia, la moglie perduta del dottor P. rubata a Goffredo Parise dell’Odore del sangue e reinventata con un’operazione raffinata e – mi viene da dire – pericolosa quanto affascinante, da Andrea Tarabbia, penso meriti l’attenzione del Premio.”

Qui trovi la trama

Che ci possa essere levità, e risa, e gioia, in chi compie qualcosa che per noi è orribile e violento- ecco è una cosa che non è tollerabile, che fa più male del male stesso perché dice che la vita,la vita di chi compie il male è, in fondo, nella gioia e nel dolore, non troppo dissimile dalla nostra.

O dalla mia.


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