Emily Dickinson.

Emily Dickinson.

Quante cose possono suscitare emozioni, trascinandoci in un vortice tumultuoso anche quando non siamo noi ad essere i protagonisti, ma vite “altre”, vite speciali come quella di Emily Dickinson.

A volte bastano delle note a risvegliare sentimenti impolverati, altre volte uno sguardo seppur fugace può essere sufficiente ad aprire mondi che, per tutta la vita possono rimanere chiusi in una stanza.
Ci sono volte poi, in cui le emozioni sgorgano impetuose ed inarrestabili, come nella perfetta tessitura fa immagini e parole creata da Liuba Gabriele in Emily Dickinson.

Mai una frase fu più calzante per un’autrice così speciale, impossibile non riconoscerne immediatamente il talento straordinario.

Eppure soltanto dopo la sua morte e, forse anche contro la sua volontà, si è potuto godere delle sue magnifiche opere. La maggior parte custodite segretamente, come un tesoro talmente intimo da essere inconfessabile al mondo.

Le tavole di questa Graphic Novel trascinano dentro la vita della poetessa, sono coinvolgenti e hanno il grande pregio di essere state studiate per introdurre il lettore dentro la quotidianità del 1800. La scelta dei colori pastello, la cura nella rappresentazione di abiti, paesaggi e persino le espressioni dei personaggi accolgono il favore del mio immaginario rispetto al periodo. Ho amato le tavole in cui veniva rappresentata la vita all’interno della dimora borghese in cui risiedeva Emily con la famiglia.

La determinazione e nel contempo la fragilità di Emily Dickinson non hanno quasi bisogno di parole. Le emozioni vissute dalla poetessa emergono chiare e potenti, sta a noi accoglierle e comprenderle.

E’ stato impossibile restare indifferenti alla determinazione con cui persegue i suoi obbiettivi e alla passione con cui ha vissuto ogni istante della propria vita. Ovviamente va considerato il contesto in cui è vissuta, il periodo conservatore ed i pochissimi diritti che potevano vantare le donne.

Dalle tavole traspare persino la preoccupazione di una famiglia che vede crescere una donna non conforme ai normali canoni dell’epoca, uno spirito libero che cercava il proprio spazio di espressione. Immaginate le difficoltà per una donna fuori dal comune come lei, che preferisce volare fra le mura della propria stanza pur di non fermare i propri sogni. Dopo il diploma si aprono per lei nuove porte, i circoli letterari svelano il palcoscenico delle possibilità di scambi e crescita personale, della nascita di amori e passioni.

Tutto però è sempre ammantato da un alone di oscurità e cattivi presagi.

Un altro particolare che mi ha colpita notevolmente è stata la capacità di Liuba Gabriele di riuscire a fondere natura e sentimenti, in una danza dentro e fuori dal corpo di Emily Dickinson. Una danza quasi erotica, fatta di colori sempre più accesi e linee sempre più definite .

Metafora perfetta per indicare il rapporto speciale fra la passionale poetessa e la natura da lei tanto amata.

La casa editrice Becco Giallo continua a sfornare splendide biografie in versione illustrata. Un libro che ad un occhio frettoloso può apparire una lettura veloce a cui dedicare pochi attimi, vi consiglio invece di tuffarvi più volte nel caleidoscopio di colori per sprofondare nel cuore di questa grande poetessa.

Si ringrazia la casa editrice per la copia.

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A proposito di libri illustrati che parlano di donne, ti consiglio anche Le ragazze di Saffo

Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano.

Se allevierò il dolore di una vita,

o guarirò una pena,

o aiuterò un pettirosso caduto

a rientrare nel nido

non avrò vissuto invano

L’equilibrio delle lucciole.

L’equilibrio delle lucciole.

Ci voleva una giornata di pioggia per inchiodarmi ad una sedia e scrivere, a volte si fa di tutto pur di sfuggire dalle proprie emozioni, oggi però le gocce d’acqua possono camuffare le lacrime e consentirmi di liberare questo torrente in piena: L’equilibrio delle lucciole.
Non ho cercato questo libro, forse lui ha scovato me. Nascosta fra mondi di possibilità ho visto lucciole danzare e universi nascosti fra i rami della vita. L’ho preso senza nemmeno pensare, a volte l’istinto sa essere un buon maestro.

Questo libro non può essere valutato con stelline o apprezzamenti, non valgono le parole perché non sono sufficienti.

Ogni parola scritta è cura e tormento, ricordo e risveglio. Non tocca soltanto la pelle, va più in profondità. Arriva fino ai nervi, li tende e li riscalda, li fa fuoriuscire dal corpo fino a renderli radici consapevoli della nostra vita.

Non è stato facile, ho centellinato le pagine facendole diventare rito. Mattino, mi nascondo al mondo respirando la campagna, libero dal guinzaglio i miei fedeli amici e apro la porta. Nella casetta invasa dalle foglie lascio andare i muscoli al profumo del mosto. Mi abbandono su una sedia sgangherata e mi prometto che saranno solo dieci pagine, non di più. Poi finisco col rubarne ancora qualcuna perché il respiro del paesino di montagna somiglia a quello del mio fra le colline. Sempre più stanco, sempre più curvo.

Eppure ci sono profumi di fioriture e di emozioni a cui troppo spesso non ho fatto attenzione. Me ne rammarico, ingoiando una lacrima .

Le lucciole stanno sparendo dicono tutti, forse siamo noi che non le sappiamo più osservare. Forse si sono nascoste fra le crepe dei muri scrostati o nelle cantine delle case abbandonate e creano in silenzio la rete della vita. Una rete che sembra quella di un ragno, sottile, trasparente ma perfetta, ti accorgi che esiste solo se la guardi in controluce o se ti sfiora la faccia. Quella rete è il respiro dei piccoli paesi, delle piccole vite che sono piccole luci ancora in grado di indicare il vero senso della vita. Siamo esseri di natura, siamo talmente connessi a lei che spesso la diamo per scontato. Come l’amore di una madre che si pensa di possedere per diritto.

Valeria Tron tocca le corde di questa ragnatela, lo fa con tocchi delicati e pare quasi che abbia la capacità di sciogliere i nodi della vita solamente raccontandoli. Almeno così è stato per me.

L’equilibrio delle lucciole ha bloccato il tempo nel paesino di montagna e nel mio contemporaneamente, lo ha bloccato nell’istante in cui ho aperto la porta della mia casetta in campagna, e lì io sono rimasta con tutta l’anima.

Alle foglie secche e al vento che taglia ho fatto una promessa: avrei ripreso a parlare di emozioni anche nei libri, avrei ripreso a respirare rispettando il ritmo dei miei polmoni. Se vi aspettate dettagli de L’equilibrio delle lucciole allora andate da un’altra parte, io ho scelto di parlare di questo libro attraverso me. Sono ancora incastrata fra vite di persone che mi si sono materializzate davanti. Strappata fra Ade e Nanà, fra disillusione e piccoli gesti che costruiscono la vita. Eppure sono innamorata, piena dell’ebrezza di questo sentimento che riempie le fronde degli alberi, e le fa danzare all’unisono.

Sono io e sono loro, e per la prima volta sento fra le pagine una realtà tanto vicina da poterla accarezzare. Mi sono fatta formichina e fascina di legna, sciolta dentro una tisana calda e incastrata fra un pettinino e gli occhiali Neve. Sono loro, eppure è il mio mondo, ed è il mondo di chi ha la fortuna di vivere fra i calcinacci di un luogo antico, vivendo nell’inconsapevolezza di essere quella trave che ancora tiene il tetto. Fondamenta di un mondo semplice fatto di frutta matura e legna da ardere, fatto di lotta alle disgrazie e di spalle a cui sostenersi per andare avanti.
Ade e Nanà chiudono le imposte perché si è fatta sera e io grido disperata perché non voglio che cali la notte sulle loro storie. Oscillo pericolosamente, in equilibrio su un filo che si sta staccando, lanciandomi inesorabilmente dentro il limbo di una quotidianità che non mi appartiene, costringendomi a rumori e parole a cui non sono pronta, non oggi.
Nanà, Ade e le lucciole mi sorreggono, mi fanno scaldare vicino alla stufa. So che Nanà sta creando una sciarpa anche per me e che Ade sta preparando un nuovo disegno, forse sarò così fortunata da diventare il chiodo che sorregge il quadro che diverrà.

C’è un segreto enorme nelle piccole cose che fanno sopravvivere. C’è la vita stessa, quella che non sconvolge il mondo ma lo accarezza. Vita che non invade con prepotenza,
ma illumina delicatamente con la luce fioca di una candela, con la delicata luce di una lucciola sopravvissuta.

Grazie per aver scritto questo libro, grazie per ogni dolorosa parola. Per aver saputo dare equilibrio alla follia della vita. Io resto qui ancora un po’ e qualcosa di me ci rimarrà per sempre.
Chiudo la porta a chiave, piove forte ancora, richiamo i miei amici fedeli e torno a malincuore alla macchina. Prima però osservo le mie mani, sono capaci, così come la mia testa, di ritrovare il tempo e il modo giusto per vivere nella pace del cuore, dove il lavoro della terra non spaventa e i petali dei fiori disegnano pensieri.
Sbatto le ciglia umide, tornerò presto con un nuovo libro nel petto ed una nuova storia, ad evocare anime ed emozioni, ma per ora voglio stare a casa di Nanà ad osservare la prima neve.

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Un altro libro che mi ha emozionato:

Una minima infelicità

La figlia più amata. Storia delle sorelle medici.

La figlia più amata. Storia delle sorelle medici.

Accade spesso nella storia che le dinamiche familiari si intreccino saldamente alla politica e al futuro di un popolo, in questo caso la famiglia in questione è quella dei Medici nel romanzo di Carla Maria Russo: La figlia più amata.

Un nuovo punto di vista, non più i soliti racconti di battaglie e lotte di potere. Carla Maria Russo ci accompagna nel Gran Ducato di Toscana mettendo in luce aspetti meno conosciuti delle corti nel 500.
La famiglia Medici, a partire da Cosimo I è il cuore del racconto. Un uomo che per amore delle proprie figlie ha osato sfidare le rigide convenzioni del tempo. Normalmente ci si dovrebbe aspettare un padre attento allo sviluppo e alla formazione dei suoi figli maschi, in particolar modo del futuro erede della casata; invece Cosimo preferisce coltivare l’amore profondo per le proprie figlie.
Bia è la prima, nata fuori dal matrimonio a soli diciassette anni.

“Figlio mio, suvvia,

comportatevi in modo assennato e lasciate la bambina alla cura delle balie.

Siete un duca, adesso prima che un padre.

E a un duca si addice un certo distacco, non manifestazioni di affetto così esplicite.

Fosse un maschio capirei. Ma è solo una bambina…”


Solo una bambina, queste parole racchiudono l’importanza che all’epoca veniva data al sesso femminile.

Un impedimento quasi o uno strumento da poter maritare per creare nuovi intrecci fra casate importanti.
Cosimo invece le amava e le viziava oltre ogni modo e oltre ogni regola.
Era il figlio del famoso e conosciutissimo Giovanni dalle Bande Nere, uomo tanto famoso quanto assente; proprio l’assenza del padre e, per contro, la totale e incondizionata presenza della madre, sono stati i pilastri della sua vita, condizionando inevitabilmente le sue scelte future.

A partire da Cosimo I, Carla Maria Russo in La figlia più bella, ci accompagna a conoscere tutti i suoi discendenti, i loro ruoli nella famiglia Medici e nella politica del tempo.

Una storia fatta di intrighi pericolosi ma anche di grande tenerezza.
La capacità dell’autrice di entrare nella vita dei personaggi del romanzo è straordinaria. La caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo delle donne del romanzo è talmente splendida da avere la sensazione di poter udire il frusciare delle stoffe preziosamente ricamate, i profumi delle cucine e del giardino, il palpitare dei loro cuori per le speranze e i sogni coltivati in segreto.
Isabella è scaltra, ribelle e bellissima, e tutte le libertà che si prende sono dovute al fatto che è la preferita di Cosimo, il quale è completamente inebriato dall’amore che prova per questa figlia e alla quale non riesce a negare niente. Proprio per questo motivo Isabella potrà prendere decisioni che le consentiranno di ampliare le proprie passioni. Libertà che non sono concesse alle giovani donne da maritare dell’epoca, neppure se di buona famiglia.


In la figlia più amata gli agi e le libertà di Isabella sono anche il pretesto per mettere in luce le condizioni delle donne del 500.

Era normale considerarle solamente merce di scambio per matrimoni strategici, il più delle volte costituivano solamente un peso da rinchiudere quanto prima in un convento.

Ogni eccesso non consentito veniva duramente punito. Le donne venivano cresciute, o meglio plasmate in funzione del giorno in cui sarebbero divenute merce per rinsaldare i rapporti fra famiglie o ingrassare le casse di qualche signore. Le bambine venivano educate e illuse che dopo il matrimonio, avrebbero potuto guadagnare importanza, onore e libertà. Troppo spesso invece si ritrovavano nuovamente prigioniere, costrette ad accondiscendere ai voleri di un marito sconosciuto e a partorire quanti più figli possibile per il prestigio delle famiglie.
E’ proprio il punto di vista femminile, raccontato con delicate sfumature de La figlia più amata che mi ha lasciato piacevolmente. Voler raccontare da una posizione scomoda, di personaggi troppo spesso dimenticati, in maniera così precisa e profonda rende, a mio parere questo romanzo qualcosa in più di un romanzo storico. Carla Maria Russo lo trasforma in un romanzo di riappropriazione (finalmente) della storia delle donne de Medici e, in un’ottica più ampia, delle donne nobili del 500.

“Spero che ti fidanzino quanto prima. Non vedo l’ora.

Così te ne andrai e non metterai più piede in questa casa”

oppure

“Quand’è che concludono un accordo matrimoniale per te e sparisci per sempre?

Prego solo che sia con uno molto lontano da qui…Un nobile tedesco, magari”

dice Francesco tutte le volte che si arrabbia con lei, ovvero sempre.
“Chi ti dice che una volta sposata, me ne andrò via?” replica Isabella.
“La legge: le donne abbandonano la casa del padre. Non sarai certo tu a fare eccezione.”


Non soltanto un romanzo di donne, ma anche uomini che sono andati contro le regole comuni per amore.
Un ultimo pensiero va a Lucrezia, l’ultimo per colei che è stata l’ultima. La mancanza di bellezza all’epoca era già una garanzia per il convento e forse per lei sarebbe stata una soluzione di conforto. Lucrezia, che nella sua famiglia di conforto e sostegno non ne ha mai avuto. Un’ombra sempre più eterea e invisibile in una famiglia in cui l’opulenza e il bisogno di mostrare e mostrarsi erano fondamentali per assicurarsi sostegno.

Un piccolo petalo in un cespuglio di rovi. Un personaggio che mi ha profondamente commossa.


Debolezze e dolore, paure e intrighi si intrecciano nelle vite dei Medici insieme ad un destino inesorabile che arriverà a distruggere persino le fondamenta di questa nobile, grande casata.

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Le streghe di Manningtree.Il Demonio non ha il volto di donna.

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Cari lettori, abbiamo già viaggiato nel 1600, ma questa volta vi assicuro che farete fatica a staccarvi di dosso l’odore del sangue de Le streghe di Manningtree.

Ancora un romanzo che parla di streghe?

Ebbene si, non mi stancherò mai di leggere i racconti di altre sorelle che hanno dovuto lottare per un briciolo di libertà. Questo racconto in particolare però lascia un solco profondo nella pelle. Ho terminato la lettura da diversi giorni e soltanto ora mi sono imposta di scrivere, come se compiendo questo gesto lasciassi andare il profondo disagio nel quale mi aveva portato.
Le parole non sono un semplice susseguirsi di lettere, se sono in grado si trascinarti dentro la pozza fetida delle manipolazioni degli uomini. Quando poi esse sono dirette magistralmente da una mano abile come quella di Blakemore, allora ammetto di essermi lasciata soggiogare con grande piacere, anche se l’incantesimo è stato uno dei peggiori incubi della storia dell’umanità.

Dai troppo ascolto ai pettegolezzi, coniglietto.

Strega è l’offesa che affibbiano a chiunque faccia succedere le cose,

a chiunque porti avanti una storia.


Non è stata soltanto una lettura, ma piuttosto un marchio a fuoco, una brutale presa di coscienza, una discesa nei meandri della crudeltà umana. Perché quando si parla di streghe si parla di donne, e quando si parla di inquisizione si parla di abuso efferato del potere maschile, col tentativo di circoscrivere la conoscenza e plasmare a proprio piacimento la volontà delle donne.


Sfruttate, povere e ignoranti, ecco le streghe di Manningtree .

Ovviamente stiamo parlando di una categoria ben specifica di donne. Se sono maritate, serve del proprio uomo e della chiesa, se non alzano mai il capo, se non mostrano un lembo di pelle e non sono minimamente curiose e intraprendenti, allora potrebbero passare indenni allo sguardo torvo e attento dell’inquisitore.

Ma diciamola tutta, e in questo romanzo vi assicuro che la realtà non viene minimamente abbellita, sotto le mire degli inquisitori ci sono le donne a cui la vita non ha donato gli strumenti giusti per proteggersi. Vedove, orfane, povere e costrette ad arrangiarsi e a patire la fame.

Poi c’è il mistero, filo conduttore di questo romanzo. Quello che non lascia fuori il Demonio da nessuna pagina del libro. Il Demonio delle danze orgiastiche e dei sabba? Può darsi, niente lo esclude e le povere reiette sotto tortura lo ammettono, ma c’è un demonio senza zoccoli, vestito di rigore e saccenza, che al posto di forconi ha dita puntate e forche pronte ad accogliere corpi esili. Un demonio subdolo che si insinua nelle menti dei semplici, instillando diffidenza verso chi cammina nell’ombra, vergognandosi magari del proprio abito sudicio, o verso chi sorride apertamente, vittima di un corpo di donna in un cuore di bambina.

Sono loro la causa della carestia! sono le streghe di Manningtree!

Perché si è visto un gatto a macchie saltare alla vostra finestra

Perché i vostri piselli continuano a fiorire anche se sono stati devastati dai temporali?


Potremo trovarci in qualsiasi luogo del mondo e, a dirla tutta anche in qualsiasi tempo, vista la brutalità con cui ancora le donne vengono uccise, ma il romanzo è ambientato nella contea dell’Essex fra il 1644 e il 1647.
I personaggi sono meravigliosi e le vicende del paese sono raccontate con una cura e un’attenzione tali da poter quasi camminare nelle vie maleodoranti. Persino il freddo pare penetrare la nostra pelle.

Non mi dilungherò a raccontare gli eventi, ma vorrei soffermarmi un secondo su un personaggio scomodo: la Beldam West. Ecco la strega, la donna che non si nasconde, che non maschera le emozioni con un sorriso ma che, con un ghigno sbeffeggiante si prende gioco di chiunque. Ecco la donna contro cui tutti punteranno il dito e contro i quali lei sputerà, temuta e odiata; splendidamente guerriera. La Beldam è l’emblema della donna che reagisce con tutte le sue forze perchè non accetta le imposizioni. E’ in grado però di amare visceralmente la figlia per la quale sarà pronta a tutto.

Poiché non hai servito l’Eterno, il tuo Dio,

con gioia e allegrezza di cuore per l’abbondanza in ogni cosa,

servirai i tuoi nemici che l’Eterno manderà contro di te,

in mezzo alla fame, alla sete,alla nudità e alla mancanza di ogni cosa;

ed egli metterà un giogo di ferro sul tuo collo, finché non ti abbia distrutto.

E se per caso vorrete proteggere le vostre anime raccontandovi che è solo un romanzo, sappiate che i fatti sulle streghe di Manningtree sono tratti da una storia veramente accaduta e che l’autrice ha fatto numerose ricerche prima di scrivere questo libro.
Non vi consiglio soltanto di leggerlo, ma di viverlo.

Le streghe di Manningtree

Ringrazio la casa editrice Fazi per avermi dato la possibilità di leggere questo libro in anteprima.

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Weyward

Mi sento graziosa come un animale alato, come una donna amata da Satana.

Ma essere amata da Dio è meglio, perché in tal caso i sentimenti non contano. L’amore di Dio sbaraglia i sentimenti. Così scrivono gli uomini brutti

– quelli che pensano di essere stati forgiati da nessun altro genere di amore se non quello divino- nei loro libri.

Questi sono i miei pensieri.

Vorrei tutto, non sono degna di niente.

Le mantidi. Le mille forme del dolore

Le mantidi. Le mille forme del dolore

Il dolore spesso può comandare e sovrastare ogni emozione, il dolore delle donne è una ferita antica di secoli, quando questa viene aperta nuovamente inizia a suppurare e infettare chi si ha intorno : Le Mantidi.


Una graphic novel che lascia un segno duraturo e indelebile nel lettore, trascinandolo dentro le forme che la sofferenza può assumere fino al suo estremo.
Non sempre si ha la forza di perdonare, non sempre le umiliazioni, le torture, gli abusi stratificati si acquietano per lasciare spazio alla guarigione.


Sara Dealbera, con il suo fumetto d’esordio, ci trascina sul filo del rasoio, dove l’oppressione sfocia in altro dolore, in rigore, in fanatismo.

Tetti Lupa è il rifugio delle donne che dall’altro sesso sono state sfruttate, usate e abusate. La tana di chi scappa e cerca solidarietà e amore.
La vita a Tetti Lupa è scandita dalle attività quotidiane, dal lavoro che allontana la mente dai cattivi pensieri. Alcune donne partoriscono a Tetti Lupa, ma tutto si svolge all’interno del rifugio e i contatti esterni sono limitati e strettamente controllati.
Caterina vede il mondo attraverso il filtro del rifugio e lo scopre pian piano a cavallo della sua bicicletta.


Proprio la bicicletta ne Le mantidi costituisce la metafora delle scelte che lei compirà, fino a prendere decisioni che la porteranno a pedalare verso la sua guarigione, verso ciò che per lei è giusto.

Allontanarsi da un tipo di violenza non significa necessariamente allontanare la violenza; essa infatti striscia e assume nuove forme.
Caterina cresce e si fa donna in un contesto in cui gli uomini vengono avvicinati solo per brevi momenti e per riprodursi, ma ogni forma di amicizia o relazione viene duramente bandita all’interno del rifugio.
Come le mantidi, gli unici contatti con gli uomini sono finalizzate esclusivamente alla riproduzione e niente più.
Caterina ci mostra, durante il suo cammino di crescita, gli aspetti sordidi ed estremi di Tetti Lupa.
Aspetti accettati da molte e subiti passivamente da altre, ma lei è diversa, vuole conoscere se stessa e le sue possibilità.
Cresciuta con i racconti delle anziane la sua visione del mondo era oscura e unilaterale: non c’era alcuna possibilità di relazione con l’altro sesso.
La favola di Barbablù è un esempio calzante.
Una visione estremamente bestiale per cui la vita delle donne di Tetti Lupa doveva essere completamente libera da ogni forma di legame con uomini di ogni età, eccezione fatta per concepire.


Tetti Lupa ha scelto tanti anni fa di avvicinare gli uomini

solo per poter dare alla luce nuove figlie e sorelle.

Ma gli uomini sono creature dannate e cercheranno di ucciderci tutte se non saremo pronte a difenderci,

se non saremo noi le prime a colpire.


Ecco il canto delle Mantidi : colpire per non morire.

Ma Caterina ha altri occhi e vuole scoprire il mondo offrendogli nuove possibilità.
Ed ecco che il posto sicuro si trasforma in un confine per lei troppo stretto.
A cavallo della sua bicicletta, Caterina sceglierà il bivio che la condurrà verso la sua trasformazione, verso la scoperta di una giovane donna in grado di buttarsi alle spalle limiti e dolori per offrirsi al mondo con occhi nuovi.


Alle volte il mostro prende forma dentro di noi e ci divora da dentro, costringendoci a decisioni dettate dalla paura. Occorre coraggio per guardare oltre, per lasciare i confini conosciuti e oltrepassare i nostri limiti personali.

Una graphic novel che mi ha piacevolmente sorpresa facendomi riflettere sulle sfumature e gli altalenanti scambi di ruoli tra vittima e carnefice.

Le mantidi

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Passeggiare la notte. Un grido contro il sistema.

Passeggiare la notte. Un grido contro il sistema.

La vita non la scegliamo, questo si sa, ma alle volte le condizioni sono talmente avverse da non farci trovare una via di fuga, nemmeno per tirare un respiro; Kia lo sa e non ha più paura di Passeggiare la notte.

Leila Mottley è al suo romanzo d’esordio, ma il suo libro è già stato inserito tra i finalisti del Booker Prize.
La sua è stata una scelta davvero audace e per niente semplice, ci trascina per i capelli dentro la periferia di Oakland, in California.

Qui la vita non è fare esperienza, è sopravvivere, giorno dopo giorno, cercando di mangiare e pagare qualche bolletta. Kia ha solo diciassette anni e l’esperienza di una quarantenne, ha la pelle e il cuore scottati dalla vita che vuole solo prenderla a calci.
Degrado, fame, emarginazione; persino le buche nella strada parlano di un quartiere completamente abbandonato, di abitanti che cercano di andare avanti come possono, di non annegare nella disperazione.

Passeggiare la notte è un romanzo che taglia le vene, crudo come solo la vita sa essere, descritto mirabilmente con il corpo e la pelle di Kiara.


Il corpo è l’unica cosa che le rimane ed è poco più che una bambina, nessuna possibilità di studio, nessuna prospettiva di lavoro.
Marcus, suo frastello, affoga il dolore nelle rime stentate della musica rap, sognando di diventare famoso. Si nutre di sogni, mentre Kia vuole cibo e soldi per pagare l’affitto, per cercare in qualche modo ti tenere unito quel poco che rimane di una famiglia.
Ormai il vuoto preme, il padre è morto, la sorellina pure, la mamma ha tentato il suicidio e offre soluzioni in cambio di redenzione. Purtroppo ciò che hanno visto i due fratelli è davvero troppo per non lasciare un segno indelebile, per fargli smettere di pensare al perdono ma soltanto alla sopravvivenza a tutti i costi.

Ancheggia, rallenta, accelera.

Ci sono tantissimi modi di passeggiare per la strada,

ma nessuno ti renderà immune ai proiettili.

Kia si arrende alla strada, dopo l’ennesimo no, dopo che ogni tentativo di normalità ha ottenuto solo una porta in faccia.
Veste la sua pelle di corazze e diviene insensibile, ora tutto può attraversarla, lei non sentirà niente, nemmeno le botte, le pistole puntate alla fronte, il bisogno degli uomini di sentirsi potenti sul suo corpo fragile.
Almeno in questo modo l’affitto sarà pagato e ci sarà cibo in tavola.
Non lo fa soltanto per se stessa, c’è anche Trevor, piccola creatura venuta al mondo per crescere da sola, guardando la madre vivere per una nuova dose. Anche lui deve mangiare, anche lui merita di vivere.

Questo bambino è una meraviglia.

La mia pioggia di autunno.

L’ultima immagine che ho del sole prima che tramonti.

Il giorno non è possibile senza Trevor.

Non sono neanche sicura che il sole esista, senza Trevor.

Vite difficili che si incrociano e si fondono, anche se la lotta è continua e quotidiana, anche se non c’è mai tempo per tirare respiro o per dormire sereni, c’è comunque spazio per l’amore. Un amore che assume forme particolari, che cicatrizza le ferite e cristallizza le lacrime, disegna impercettibili spazi sacri nella spazzatura e muove cuori pietrificati.


Leila Mottley scrive un romanzo affilato e pericoloso, la ricchezza di descrizioni e aggettivi lasciano il lettore stordito e completamente in balia del mondo che descrive.

Le forme di lotta descritte sono molteplici : lotta al sistema corrotto, agli abusi, al razzismo, tutto fuso all’interno della lotta quotidiana per la sopravvivenza. Talvolta ho persino pensato che fosse troppo per una sola vita, ma, come una positiva forma di dipendenza, resto in attesa del suo prossimo romanzo.

Passeggiare la notte

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Libertà in vendita

Con i denti

Sono pronta ad arrendermi,

a lasciare che mi arrestino solo per evitare di sentirne un altro dentro di me,

poi l’immagine della bocca di Trevor coperta dalla torta allo sciroppo stantia mi spunta in mente.

Non posso lasciarlo e ci servono i soldi. Che cambia un’altra notte?