Ho iniziato il 2024 con un personaggio silenzioso, di cui quasi nessuno ricorda il nome. Ma, se Virgilio non l’avesse inserita tra i personaggi della sua opera, forse, il progetto augusteo dell’Impero Romano non sarebbe stato lo stesso. Enea senza Lavinia non avrebbe potuto dare vita alla grande città di Roma.
Lavinia è vissuta in poche righe, uno stralcio della letteratura in cui le viene assegnato un compito che ha svolto in quasi religioso silenzio.
Ci è stata trasmessa solo una piccola immagine di quella che era la donna che il destino aveva promesso ad Enea.
Un grembo da affidare all’eroe fuggito da Troia, affinché la sua stirpe creasse un impero che i secoli a venire avrebbero visto nascere e soccombere ma la cui memoria è eterna.
Lavina è una principessa italica, dai biondi riccioli e disperata per la morte di sua madre.
Lavinia è un vago respiro tra le righe di una storia che Virgilio voleva fosse bruciata e Augusto voleva per celebrare la sua gens e la sua autorità.
Lavinia non ha mai goduto di una vita definita da gesta eroiche e immortali.
Virgilio non le ha mai dato il respiro vitale che di Didone e, anche se piuttosto breve, di Creusa.
“Ma non morirò. Non posso. Non scenderò mai tra le ombre sotto Albunea per vedere Enea alto tra i guerrieri, scintillante di bronzo. Non parlerò a Creusa di Troia, come un tempo pensavo che avrei fatto, né a Didone di Cartagine, fiera e silenziosa, che nel petto ha ancora lo squarcio della spada. Hanno vissuto e sono morte come ogni donna, e il poeta le ha cantate. Ma lui non ha cantato in me abbastanza vita perché io possa morire. Mi ha dato solo l’immortalità”
Lavinia è un contorno, il piatto che è stato servito ad Enea perché Roma avesse la possibilità di nascere.
Lavinia è un rimpianto per l’autore di un’opera immortale che, se avesse potuto, avrebbe gettato il suo libro tra le fiamme della città da cui Enea era partito.
Ma come conquistare una parentesi di esistenza?
Ursula K. Le Guin ha fuso insieme il mito e la storia. La vita di una principessa senza voce e quella della guida dantesca negli Inferi.
Lei, giovane sacerdotessa, sulla soglia del suo futuro e lui, anziano e ormai morente, con un piede nell’Ade.
Quasi uno scambio di respiri per lasciar che la principessa parlasse senza che lui le abbia mai permesso di farlo.
I due, tre le ombre della divinità, intavolano un dialogo che si perde nel tempo e nello spazio e diventa una profezia.
Il libro di Ursula K. Le Guin diventa quasi un finale all’Eneide e al tempo stesso la pace per una coscienza tormentata.
E se non ci fosse stata la guerra tre Enea e Turno?
Se Virgilio avesse bruciato la sua opera?
Cosa ci sarebbe stato poi di male?
“Oh, Lavinia, che domanda da donna!”
Resta una domanda al termine di Lavinia: se un’opera non è finita, cosa l’autore deve sacrificare per far vivere la sua storia?
Virgilio sacrificò l’esistenza di una donna e la rese immortale perché se la storia non è terminata l’unico finale possibile è l’eternità.
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“Ero stata la colomba legata al palo, che sbatte le sue sciocche ali come se potesse volare, mentre sotto di lei i ragazzi urlano, la indicano e le scoccano frecce fino a quando una non va a segno”
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