Non lo ritenevo possibile, non perché l’autore non ne sia all’altezza ma perché il mio amore per uno dei suoi precedenti titoli era così immenso che non pensavo potesse ripetersi e invece Manlio Castagna ci è riuscito ancora con Di fuoco e seta edito per Mondadori nel 2024.
È praticamente sulle librerie a pochissimo ma io l’ho divorato.
L’ho letto di notte e mi sono dovuta risvegliare per finirlo… continuavo a sentire i rumori della battaglia e l’ansia per la sorte dei protagonisti.
Di fuoco e seta è ambientato in un periodo tumultuoso della storia italiana.
Nell’aria c’erano le scintille di fuoco delle guerre per l’indipendenza italiana, il sapore di libertà riempiva la bocca di statisti, filosofi, politici e giovani dallo spirito indomito.
Al centro del libro vi è La battaglia di Solferino: un successo per l’Italia e un massacro di una generazione.
L’autore ha creato l’atmosfera di quegli anni in maniera vivida, soprattutto per coloro che volevano combattere ammantati del coraggio ispirato da Mazzini.
L’ingenuità di sapere cosa la guerra significa per una bandiera ma non cosa poteva significare per gli esseri umani, la presunzione di pensare che la morte di uno sarebbe stata la libertà di molti e avrebbe aiutato il proprio paese…
Di fuoco e seta è un viaggio tra due mondi, il presente e il passato.
Castagna decide di usare il realismo magico per narrare la sua storia.
È tutto vero, troppo vero, talmente vero che un tocco di magia serve a ricordare a tutti noi che i miracoli possono accadere anche in guerra.
Tre amici: Alvise, Altea e Sante.
I tre ragazzi si conoscono in una situazione che ha dell’incredibile e la loro amicizia crescerà in compagnia di un lavorio di foglie di gelso e la promessa del tessuto più pregiato.
Ma più i bachi crescono sperando nella loro trasformazione in crisalide più il fuoco si alimenta e avanza nascosto e in silenzio fino a ghermire Solferino e San Martino.
Il nemico è alle porte: nascosto, non visto. (ogni citazione è puramente non del tutto casuale).
Nel giro di poche ore l’atmosfera bucolica del loro mondo diventa l’inferno in terra e nessuno di loro può sopravvivere se l’altro viene abbandonato.
Non c’è un finale dolce in questa storia ma al contempo c’è un finale vero, come quello di molti dei racconti di chi sopravvisse a quello scontro.
Già poter raccontare è un dono e la storia deve essere trasmessa a chiunque voglia ascoltare per poter tramandare quello che è stato per creare una vita più consapevole.
Di fuoco e seta è un libro spettacolare. Un dipinto più che un romanzo.
“Se pensi che in ogni corpo umano ci sono più di duecento ossa e diciamo che solo un terzo di ogni morto quel giorno e stato recuperato…”
Se volete conoscere la trama de Di fuoco e seta cliccate la parola LINK
Ed eccolo qui il 30 agosto 2024. Esce oggi, infatti, l’ultimo capitolo della trilogia de Le lupe di Pompei: Il tempio di Fortuna.
Ho lasciato Amara sulle soglie di una nuova vita, l’avevo lasciata sapendo che la storia de Il tempo di Fortuna sarebbe stato difficile per lei.
Questo nuovo capitolo è ambientato nel 79 d.C. e, per chi non lo sapesse, si parla dell’anno in cui Pompei ed Ercolano vennero sepolte dalle ceneri della montagna: Il Vesuvio.
Se solo ora ci si ricordasse di cosa quell’eruzione provocò, forse, le prove di evacuazione non sarebbero deserte.
Anche a quel tempo erano abituati alle piccole scosse e non ci facevano caso… duemila anni dopo troviamo ancora corpi seppelliti dalle macerie.
Dove ero rimasta? Ah si! A Il tempio di Fortuna.
L’ex lupa di un postribolo di Pompei non solo è la liberta dell’ammiraglio Plinio ma è anche compagna del liberto dell’imperatore Vespasiano.
Tito, successore di suo padre, è appena salito al trono e già la concordia con suo fratello Domiziano è messa a dura prova.
Se volete un assaggio di come l’atmosfera potesse essere precaria, vi consiglio di vedere Those About to die, è ambientato nello stesso periodo della storia di cui parliamo e, se tralascio la presenza di qualche errore storico, rende molto bene l’idea dei rapporti di potere a Roma in quel periodo.
È proprio l’attrito tra i due fratelli imperiali in motivo per cui Amara è costretta a tornare a Pompei.
Sua figlia Rufina e Filone sono sempre ospiti della sua amica e Filone è ancora uno schiavo.
Andando a Roma Amara ha preferito l’agiatezza alla famiglia e ora deve farci i conti.
È proprio vero, puoi scappare da una città ma non puoi scappare da te stesso!
I problemi di Amara sono ancora tutti lì.
Gli affetti, come Britanna che ora è una gladiatrice molto acclamata, sono ancora tutti lì.
E se la nostra protagonista, alla fine, continuando a pregare perché i suoi problemi si risolvano sia riuscita, finalmente, ad ottenere proprio quello che desiderava e alla lettera?
Ricordo sempre quell’adagio che credo sia attribuito, in maniera arbitraria a Oscar Wilde, che recita: Stai attento a ciò che desideri, potresti ottenerlo.
Gli dei sono sempre in ascolto e hanno spie ovunque, alcuni camminano in mezzo alla popolazione e non si può mai sapere come decideranno di intervenire.
La ricostruzione delle scosse, della caduta della polvere incandescente, e della fuga dalla cittadina è davvero credibile. Il lettore potrà “vedere” cosa abbia patito la popolazione in fuga.
Furono davvero in pochi ad aver salva la vita.
Non c’è modo di spiegare cosa debbano aver patito coloro che fuggivano dal vulcano: il buio era totale e la polvere invadeva i polmoni.
Coloro che si sono salvati sono riusciti a farlo solo grazie ad una prontezza di spirito non indifferente.
Morì, in quelle notti anche l’ammiraglio Plinio, che tutti conosciamo come Plinio il Vecchio.
Ma non è l’unico affetto che amara perderà in quella fuga.
Quando i sopravvissuti avranno modo di farsi riconoscere dai funzionari imperiali Amara dovrà compiere una scelta.
Il tempio di Fortuna non è più visibile e quello in cui la donna pregava a Roma è ormai molto lontano.
Fortuna sarà benevola con la nostra protagonista?
Il tempio di Fortuna è la conclusione della trilogia de Le lupe di Pompei e posso dire che questi libri mi hanno coinvolta nella loro spirale di narrazione fino alla fine.
O, almeno, fino a pochi passi dalla fine.
Non so, credo che alla fine, per chiudere il cerchio l’autrice abbia un po’ corso.
Forse è solo la mia impressione, sarà che io non sento la necessità di un lieto fine in ogni storia…
Ci tengo a ringraziare Fazi editore per le copie di questa storia spettacolare e Elodie Harper per aver dato luce alle strade dell’Impero in cui nessuno guarda mai.
C’era una volta, in un’antica città, un palazzo di cui si parlava in ogni angolo della Grecia. Si narrava che la sua regina avesse partorito un mostro; si raccontava che la figlia del re fosse scappata con uno straniero; si vociferava che la ragazza fosse stata abbandonata su di un’isola e qui l’avesse sposata un dio. La maledizione di Arianna parla di questo antico canto ma è molto di più.
La maledizione di Arianna non è il primo retelling sul mito della principessa Arianna di Creta.
Jennifer Saint in Arianna e Laura Shepperson in L’urlo di Fedra, anche se ovviamente la figura di Arianna è sullo sfondo della storia di Fedra, hanno dato un nuovo respiro a questo mito che parla di una principessa ribelle ma la sostanza del mito era rimasta piuttosto intatta.
Sara A. Benatti non solo decide di affrontare una storia che in molti conoscono per i motivi più vari ma decide di variare.
La maledizione di Arianna è il mito ma al contempo cambia rimanendo fedele a se stesso.
Di solito, quando si narra la storia della principessa cretese, l’azione si svolge nei luoghi del palazzo, al porto, le varie tappe del viaggio con Teseo e poi la storia d’amore con Dioniso.
Ad un certo punto, nella storia di Arianna c’è sempre il labirinto e il Minotauro ma, se escludiamo l’episodio del filo e dell’uccisione di del “mostro” partorito da Pasifae, l’opera di Dedalo e il suo ospite sono sempre sullo sfondo della questione.
È un po’ come parlare di Pompei dimenticandosi del ruolo svolto dal vulcano.
La Benatti, finalmente, usa quell’ambiente ristretto.
Il luogo che rappresenta il mondo, la reclusione, la crescita, la perdita e il ritrovamento e lo usa per narrare questa storia su molti livelli di narrazione.
La maledizione di Arianna è un romanzo dagli spazi stretti, di introspezione e di situazioni in cui non esiste lo spazio per il grigio.
La maledizione di Arianna è grado anche di mettere sullo stesso i suoi personaggi, non sono quelli resi famosi dal mito ma anche coloro che non parlano mai.
Non ci sono nobili, ci sono solo persone.
Non ci sono poveri o prigionieri politici, ci sono solo sacrifici.
E poi c’è Asterione.
Il diverso mandato ad essere il cattivo. Colui che non ha mai saputo come essere umana e ha conosciuto solo la madre.
La maledizione di Arianna è la storia della Bestia.
Non solo il minotauro ma la bestia che si annida dentro di noi.
È anche la scoperta della via per tornare ad essere umani, se si ha la forza ci cercarla.
Nel labirinto ci si può perdere ma ci può anche ritrovare.
E voi direte, ma che ne è di Nasso? Di Dioniso? Della loro storia d’amore?
Dioniso, nella storia di Arianna è sempre colui che si innamora, la divinità che una volta che si è stancata se ne va lasciando Arianna.
Dioniso è uno spirito libero ma è un labirinto lui stesso.
La maledizione di Arianna è in definitiva IL LABIRINTO.
L’autrice ha creato un gioco di tranelli che è difficile vedere.
Un gioco che non risparmierà nessuno.
Vuoi conoscere la storia de La maledizione di Arianna? Schiaccia la parola LINK
“Sono le storie il tessuto del mondo“, dice la dea. “Il minotauro che tu temi ne è solo uno degli attori, il nemico e il protagonista, l’assassino e il prigioniero. E ogni storia nutre la meraviglia del mondo e lo mantiene così vivo.“
Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è un libro che, forse, non avrei mai letto se non fosse stata per una delle ragazze che lavora nella libreria dove vado.
Olga Tokarczuk è una delle scrittrici polacche più amate, vincitrice di numerosi premi tra cui spicca il premio Nobel per la letteratura nel 2018, eppure io non la conoscevo affatto.
Lo so, dovrei essere più sul pezzo ma non posso essere ovunque.
Guida il tuo carro sulle ossa dei morti: già solo il titolo è esplosivo per la mia immaginazione.
La prima cosa a cui ho pensato è la mitologia celtica.
Una Morrigan che con il suo carro da battaglia è pronta a consumare la vendetta per i torti contro il suo popolo.
Invece ho scoperto che è William Blake che ha ispirato il titolo di questo libro.
Anche in merito alla letteratura inglese dovrei essere più sul pezzo, per fortuna le lacune possono venire colmate da altre persone che consigliano libri agli altri.
Non ho sbagliato di molto, la Vendetta centra eccome.
William Blake è una presenza costante in questo libro.
La protagonista Janina Duszejko, tra le sue molte occupazioni, aiuta un suo ex allievo nella traduzione in polacco dell’opera di Blake.
La prima cosa che mi ha colpito è la desolazione del paesaggio. Un francobollo di natura quasi disabitata, dai paesaggi sconfinati ma in cui, essenzialmente, se un albero cade nessuno lo sente.
Tutti tranne la signora Duszejko.
Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è anche una storia di desolazione.
Non una desolazione fisica ma morale.
Una delle scene del libro mi ha trasportato in un dialogo di un film che amo molto che è Donnie Darko.
Anche lì si parla di fatalità della vita ma quello che mi riporta al libro in questione è quando la professoressa spiega come CELLAR DOOR sia una delle espressioni più belle e vere della letteratura.
Di sicuro, l’intimità della cantina ha molto da narrare in questo libro anche se ci entrerete solo poche volte.
Nel silenzio della neve e delle tempeste notturne, vengono consumati degli omicidi.
La signora Duszejko lo sa, sono OMICIDI non incidenti ed è sicura di avere le risposte che la polizia ignora: sono gli animali ad uccidere.
Un branco di cerve.
E anche sulla mitologia del cervo vendicatore si potrebbe dire molto di più ma non è questo il luogo e non credo sia importante parlarne in questa sede.
Inoltre Duszejko è convinta che il vero motivo delle morti, se ovviamente si esclude che in giro c’è un assassino, è scritto nell’oroscopo delle vittime.
Se una signora piuttosto bizzarra venisse da voi dicendo che sono le cerve ad uccidere, gli credereste?
Ecco, quindi potete immaginare la faccia e l’atteggiamento della polizia alle accuse lanciate dalla signora.
Di norma, un libro come Guida il tuo carro sulle ossa dei morti non è nel mio genere di lettura.
Non capivo perché la mia libraia me lo avesse consigliato, eppure mi conosce.
Forse lei mi conosce meglio di quanto credo.
C’era qualcosa che dovevo scoprire.
Questo è un libro che parla di solitudine, di ingiustizia, di sbilanciamento e del rapporto con il diverso.
È una storia che, sotto la coltre innevata della signora stramba con le buste della spesa che si aggira tre le case vuote del vicinato, nasconde porte di abissi.
Ma gli omicidi?
Ve l’ho detto, sono le cerve che uccidono per vendetta.
Sta a voi scoprire come, no?
Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è un romanzo che non ha bisogno di raccontare attraverso la storia.
È un romanzo che parla tra la punteggiatura, tra le sospensioni di una scrittura morbida e dalle fosche tinte noir.
Un libro morbido come la neve e letale come una tagliola per volpi.
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“Ritengo che ciascuno di noi veda gli altri Uomini alla sua maniera, quindi abbiamo il diritto di dare loro il nome che riteniamo più adatto e appropriato. Proprio così, abbiamo un sacco di nomi. Ne abbiamo tanti per tutte le perone con vui abbiamo qualche legame.”
Ho letto Povere Creature! di Alasdair Gray e, ad un certo punto, la povera creatura ero io.
Fin da subito ho capito che la lettura sarebbe stata una piacevole scoperta e che il libro mi sarebbe piaciuto.
Una scrittura ironica, guizzante, mai noiosa.
Mi è capitato di leggere le pagine di Povere Creature! anche in momenti in cui ero sfinita e la carica narrativa di questo libro mi ha resa felice di aver sottratto qualche minuto al sonno incipiente.
Povere Creature! è un capolavoro.
Ho sbagliato, all’inizio della lettura, a credere che fosse un romanzo gotico.
Ho sbagliato a credere di leggere la versione di Gray del romanzo di Mary Shelley.
La vera questione che riguarda Povere Creature!, se proprio dobbiamo trovare un punto di partenza nella letteratura passata , è da ricercare in Pirandello: Così è se vi pare.
A dispetto della realtà e dell’oggettività, a dispetto di ciò che è normale, c’è una storia e dire chi sta fornendo una versione errata è davvero difficile.
Ma, in fondo, chi può dire di conoscere la verità assoluta quando si sta affrontando un gioco di specchi?
Ho iniziato Povere Creature! e ho pensato di essere coinvolta in un’atmosfera fantozziana.
Sì, sembra tutto così fuori dai binari che suscita l’ilarità del lettore.
È tutto così ilare che si perde il punto del discorso: non c’è proprio nulla da ridere.
Bella è ingenua e totalmente libera di essere chi vuole essere.
Ma è davvero così? Dipende a quale versione della storia decidete di dare credito.
Non posso dare troppe informazioni, anche se immagino che tra i lettori ci sia chi ha già visto il film al cinema.
Io non l’ho visto e non chiedo di sapere come il regista ha deciso di raccontarmi la sua versione, quindi non vi dirò cose che dovrete scoprire leggendo questo libro.
Diversi sono i temi che si nascondono tra un cenno a Frankenstein e uno al Grand Tour vittoriano (anche se è davvero fuori dai canoni ed è una donna libera ad effettuarlo).
Le situazioni spesso sono talmente assurde che si perde sempre il fuoco del discorso: non c’è nulla da ridere, non importa quale sia la versione della verità che scegliete.
Questa storia parla di Povere Creature! ma non si sta parlando di denaro.
Anche quando tutto sfolgora è nella crepa di un sorriso che si cela la povertà, è nella fama di un regno che si scopre cosa non funziona, è nella osannata società di una Gran Bretagna all’apice del suo fulgore che non si può voltarsi a guardare altrove.
Anche se tutto è al massimo dello splendore bisogna ricordarsi che si è tutti uguali nel privato della propria esistenza.
Anche coloro che sono pronti a scagliare pietre, anche coloro che vengono lapidati.
La povera creatura sono io che credevo di poter ingabbiare questo libro in una categoria.
La povera creatura sono sempre io che sono caduta nel tranello dell’autore e mi stavo facendo trascinare da esperienze letterarie e sociali pregresse.
La povera creatura sono io che non ho ancora avuto tempo di ammirare la pellicola di cui Emma Stone è riconosciuta come indiscussa stella.
Normalmente rifuggo dai testi di cui troppo si parla ma se Yorgos Lanthimos non avesse proposto la sua visione e questa non avesse vinto numerosi premi, probabilmente, non avrei mai colto la possibilità di avventurarmi in questo libro.
Così è, se vi pare. intitolava l’opera teatrale.
Ci sarà anche la verità sullo svolgimento di questa intricata vicenda ma il punto è che la sterilità di una versione unanime non importa.
Volere conoscere la trama di Povere Creature!? Cliccate la parola LINK
“Gesù era sconvolto dall’universale crudeltà e indifferenza quanto me. Anche lui dev’essere rimasto inorridito scoprendo che doveva migliorare le persone contando solo sulle proprie forze”
Un nuovo retelling mitologico nel mare dei retelling. Ovviamente, come la maggior parte dei predecessori, è una riscrittura dal punto di vista di una donna, anzi di una dea: Afrodite.
Speravo, nell’opera di Mariangela Galatea Vaglio, in una dea di cui nessuno parla mai, una di quelle minori che ha un compito importantissimo ma che nessuno conosce, e invece parliamo di Afrodite.
Cosa mai avrà da dire Afrodite che ancora non si sa sul suo conto?
Quando il mito non era stato canonizzato, Afrodite (che avrà questo nome solo in seguito) è una delle forze primigenie.
La dea del tutto.
La dea che attraverso le ere e le civiltà ha avuto molti nomi, molti poteri e molte vite diverse.
Afrodite come Dea Madre, come Guerriera e come Ispiratrice di passioni (per lo più sessuali).
È stata Inanna, Afrodite e Venere.
Come è accaduto che una delle forze motrici del cosmo è stata relegata ad essere la Dea dell’amore?
Ovviamente, la colpa ad un certo punto è ricaduta sul genere maschile.
Le Dee, le altre, si adattano ad una società maschilista e patriarcale mentre Afrodite si ribella e si rifiuta di sottostare ad una legge maschile.
L’incipit, scritto in prima persona, ci promette che nulla di quello che sappiamo su Afrodite è vero.
Potrebbe darsi, il retelling della Vaglio potrebbe essere convincente.
Se non fosse che la dea è esattamente come la conosciamo: pretenziosa, piena di sé, volubile, capricciosa e a tratti licenziosa.
Così è una forza del cosmo e così è una dea, non stiamo parlando di comuni mortali.
Per gli dei non conta come gli uomini le considerino, la cosa importante è che li venerino che sappiano qual è il loro posto.
L’umanità non è affar loro, se non per qualche istante che per loro è poco più che un capriccio o un trastullo.
Ma questa Afrodite si incapriccia di essere umana, di essere migliore degli altri immortali.
Mi è sembrato di tornare al liceo, quando La Creatura Perfetta (maschio o femmina che fosse) si cantava e si suonava da sola la musica che voleva ascoltare e poi dichiarava pazzi coloro che non sentivano e marciavano al suo suono.
Se non altro una cosa, questa Afrodite, ha davvero in comune con le divinità e alcuni umani: una pedanteria saccente che non ha un’originalità ma la pretesa di avere un suo posto in un mondo saturo di altri suoi cloni.
Una scrittura ricca, forse troppo, che rimane nei segni grafici che la compongono.
La Vaglio è scrupolosa, una scrittrice appassionata e preparatissima ma non esce dalla carta.
Questa scrittura, per citare uno dei miei film preferiti, “ha la stessa passione di una coppia di nibbi reali”.
Volete conoscere la trama di Afrodite? Cliccate sulla parola LINK
Vi piacciono i retelling? Ecco altre mie recensioni:
“Non un’ombra di trasalimento, non un bisbiglio di eccitazione; questo rapporto ha la stessa passione di un rapporto di nibbi reali.” (Vi presento Joe Black)
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