L’urlo di Fedra. Denuncia di uno stupro sociale dagli echi del mito
Recensione a cura di Altea
La vendetta degli dei. Da tragedia a show comico

Siamo a Creta, nel palazzo di Cnosso, alla corte di Minosse e Pasifae. Vi hanno raccontato tante versioni di questo mito. Lo hanno fatto i soliti ignoti: Euripide, in due versioni perché dovette correggere la prima dell’Ippolito velato; Seneca nella sua Phaedra; Sofocle nella sua opera perduta e volle cimentarsi anche il grande cantore degli amori Ovidio nelle Eroidi con una lettera di Fedra a Ippolito. Al giorno d’oggi, Laura Shepperson scrive una nuova versione di questa storia: L’urlo di Fedra.

Partiamo dal principio della storia: Chi è Fedra?

La principessa è figlia del re di Creta Minosse e della regina Pasifae e sorella di Arianna. La sua infanzia è piena di “incidenti mitologici” per dirla in maniera sottile.

Il mito racconta molte cose incredibili sulla famiglia della principessa.

Sua madre, la regina Pasifae, mise al mondo il Minotauro dopo essersi accoppiata con uno dei tori sacri. Il re Minosse fece costruire da Dedalo, il grande ingegnere del mondo antico, il famoso labirinto per rinchiuderlo e per sacrificare le vite degli ateniesi mandati come “indennizzo” a Creta per la morte del primo figlio del re.

Sua sorella Arianna, dopo aver aiutato Teseo (che nella mitologia è una sorta di prezzemolo adatto ad ogni storia, un po’ come Agamennone e Ercole) ad uccidere il mostro nel labirinto, fugge con il principe ateniese che dopo poco l’abbandona.

Arianna diventerà la sposa di Dioniso, ma la nostra autrice ha altri piani per la sua tragedia.

Che Teseo non sia l’eroe che tutti hanno sempre creduto non è cosa nuova, quindi aggiungere un omicidio non farebbe nessun danno alla sua reputazione.

Il destino di Fedra, dopo che Arianna è fuori dai giochi matrimoniali di Minossse, è segnato: convolerà a nozze con il principe ateniese.

Quello che arrivò a Creta come principe, tornerà ad Atene come re. Non ha dovuto nemmeno sporcarsi le mani, gli è bastato dimenticare di far cambiare le vele alla sua nave.

Considerato tutto si potrebbe dire che il Fato stava architettando per lui la giusta compensazione per i suoi misfatti.

Certo, ma quelli come Teseo cadono in piedi e continuano a brillare di luce propria.

Se tutto questo fosse una favola moderna, con un’aggiustatina dal punto di vista del politicamente corretto, si potrebbe dire: Fedra sposa il principe, diventa regina e tutti vissero felici e contenti.

Peccato che il mito non esiste per arci sentire a posto con la coscienza.

Sulla copertina del libro campeggia il titolo: L’urlo di Fedra.

Cosa accade ad Atene? Nel mito i due sposi mettono al mondo la loro prole e, mentre Teseo se ne va a passeggio per le sue imprese eroiche, Fedra si innamora di Ippolito (figlio del precedente rapporto di Teseo con un’Amazzone).

Ippolito non può accettare questo amore e rifiuta Fedra. La regina furiosa e amareggiata racconta, al ritorno del marito, di essere stata violentata da Ippolito che viene accusato ingiustamente mentre la regina si suicida.

La corte ateniese de L’urlo di Fedra è ben diversa.

Arianna è morta annaspando tra le mani di Teseo che stringeva via via sempre più forte mentre Fedra sta per cadere in una trappola che, per una volta, Teseo non aveva immaginato nemmeno di poter progettare.

Ippolito è un giovane viziato e insofferente attorniato da una cerchia di giovani che potrebbero essere assimilati ai Proci che assediavano la corte di Ulisse al suo ritorno ad Itaca.

Il re ateniese, com’è ovvio, non si può esimere dal partire. A Fedra non è interessato e per lui è poco più che un ostaggio sottratto a Minosse per non invocare una nuova cernita di giovani ateniesi.

La regina vive segregata e lasciata a se stessa in un’ala del palazzo che, per farvi capire, è come se fosse la torre degli ospiti indesiderabili de La spada nella roccia.

Il rapporto con Ippolito è tempestoso, lei cerca di avvicinarsi la figlio di Teseo per fare in modo che loro rapporti siano civili o amichevoli, mentre il ragazzo la respinge e i suoi amici mettono in giro strane voci sul fatto che la regina, di fatto ma non in pratica, stia tentando di sedurre il loro principe.

Una notte Ippolito, sedicente adepto senza macchia di Artemide, stupra senza pieta Fedra lasciandola più morta che viva tra il fango e le sterpaglie.

La sua motivazione? È stata lei a farglielo fare.

Come? Nella solita maniera in cui uomini di una certa caratura morale accusano donne di averli fatti deviare dal loro cammino fatto di rettitudine e santità.

Fedra decide che Ippolito deve pagare. L’urlo di Fedra è l’urlo di tutte le donne di Atene.

Incinta e derisa dalla città, invece di scappare, decide di affrontare Teseo e obbligarlo ad emettere un giudizio equo nei confronti di Ippolito.

Teseo non può fare a meno di essere l’eroe di se stesso, non può permettere che il suo unico figlio paghi e cerca di comprare il silenzio della sua regina.

No, lei non può accettare.

Quindi, il processo ha luogo e il principe viene ritenuto…

Da qui dovete procedere da soli. Perché L’urlo di Fedra riecheggia in tutto il finale che ha comunque il sapore della tragedia che poteva essere evitata.

Laura Shepperson si prende diverse licenze dal mito, è lei stessa a dirvelo ma nel mito non è reato se lo di fa con lo scopo di denunciare le ingiustizie.

Lo ha fatto Euripide, lo ha fatto Seneca e lo hanno fatto tutti gli altri: denunce sociali in un tessuto culturale che sembra vedere ma non muoversi altrettanto velocemente, quindi perché questa Tragedia dovrebbe essere impostata diversamente?

La narrazione è impostata a più voci come richiedono la Tragedia e il teatro greco.

All’inizio della lettura pensavo che questo modo di narrare, ormai presente in ogni retelling dei classici mitologici, sarebbe stato penalizzante per la narrazione.

Perché? Voi non vi infastidite se tutti i libri sembrano uguali?

Invece l’Urlo di Fedra deve essere una Tragedia Corale, non può essere altrimenti. Se una sola Persona urla mentre le altre tacciono non si andrà mai troppo lontano.

L'urlo di Fedra

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Ogni uomo può lanciare parole in aria,
e che sono le donne a dover pagare,
quando le parole arrivano a terra.

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