Nella vita dei burattini. Il dramma umano al chiodo del politically correct
Recensione a cura di Altea
La vendetta degli dei. Da tragedia a show comico

Nella vita dei burattini è l’ultimo romanzo di TJ Klune edito per Oscar Vault e, questa volta, al contrario dei primi due che ho amato, non sono sicura se queste pagine mi siano piaciute.

La casa sul mare celeste è una perla rara, Sotto la porta dei sussurri è davvero bello, Nella vita dei burattini…

Zoppica.

La qualità migliore della scrittura di TJ Klune è quella di trattare argomenti di attualità dandogli quello che meritano: la naturale normalità.

Storie di crescita, di affermazione e di amore non diverse ma ambientate in contesti fantastici; forse per alcuni sono aliene ma non sono diverse da quelle che tutti nella vita viviamo, a dispetto del mondo che a volte si finge incredulo senza nessuna ragione apparente.

Ecco, questo elemento in Nella vita dei burattini un po’ è andata persa.

Dalle prime pagine, in cui il lettore si trova ad aver a che fare con un ritmo di narrazione piuttosto lento, questo volume ha proceduto a carponi e poi ha iniziato a zoppicare.

Perché?

La storia alle prime battute ha qualcosa che rimanda alla favola.

Questo è un po’ il contrario di quello che accade nelle altre due opere di questo autore: si inizia con una favola tenera per poi addentrarsi nella parte cruda della storia.

O almeno, immagino fosse quella l’intenzione dell’autore ma questa è una mia speculazione. Posso solo dire che nei ringraziamenti Klune fa accenno al fatto che il libro pubblicato è una sorta di addolcimento di quello che in realtà Klune voleva scrivere:

“Avrei voluto che questa fosse la storia di cui avevamo parlato, ma a quanto pare il mondo non è ancora pronto.”

Mio Carissimo TJ, se questa è la rielaborazione di qualcosa che non hai potuto scrivere, ti prego di avere fiducia nel mondo e scrivila perché questa che ho davanti è carina (che in Italia sta per passabile) ma non ti rende giustizia.

Ad un certo punto, una favola che racchiude in sé le storie più famose della letteratura: da Pinocchio a Il mago di Oz, da Moby Dick a Ma gli Androidi sognano pecore elettriche? (titolo originale di Blade Runner), ha iniziato a prendere il carattere di tutta quella carta stampata che PER FORZA deve essere zuccherosa; PER FORZA deve narrare la questione sociale più “di moda” del momento.

E quale carattere può mai avere una storia così? Lo stesso di un filetto di platessa bollito.

La questione sociale tanto cara all’autore è importante.

La parità di diritti e la libertà di poter essere tutto quello che si vuole e per questo non essere discriminati è fondamentale.

La necessità di mostrare che esiste una scala di grigi e questa non toglie niente alla normalità imperfetta dell’universo. E se questo non scalfisce la dignità il mondo figuriamoci quelle di coloro che si affermano oltraggiate.

Questa è una necessità vitale per l’esistenza di tutti.

Ma questo libro non è all’altezza né dello scopo né di chi lo ha scritto.

Le Grandi Storie a cui prima accennavo, e da cui l’autore ha attinto per le sue fantastiche citazioni, hanno lati fortemente tragici. Sono ricche di hybris e miseria umana, hanno un forte impatto sull’immaginazione del lettore e lo spingono in direzioni in cui il lettore spesso non vuole andare.

Costringono a farsi domande di cui non si conosceva l’esistenza e lo fanno in maniera brutale, in alcuni casi al limite del vessatorio.

Nella vita dei burattini il Pathos lo ha perso il giorno del risveglio di Hap sul tavolo di Victor.

Il fulcro della narrazione dovrebbe essere chiaro e lo si intravede, è lì a portata di mano dietro alle cortine di panno leggero del dietro le quinte ma, ad un certo punto, capire non è più fondamentale perché la storia d’amore è molto più importante.

E ciao ciao alla forza della storia.

Salutiamola tutti dall’alto di uno dei monologhi più famosi della storia del cinema:

«Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi:
navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione,
e ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo,
come lacrime nella pioggia.
È tempo di morire.» (Blade Runner, Roy Batty)

Mi è piaciuta, come al solito, la penna dell’autore.

Nella vita dei burattini è una storia che fa amare i suoi personaggi minori e il mondo in cui è ambientata ha un mondo di potenzialità che sono lì e pronte da scoprire, ma mi servirebbero un po’ di sale e di pepe in più.

E con pepe non intendo aggiungere dettagli rosa, ne abbiamo già più che in abbondanza.

Apprezzo, e lo farò sempre, la poesia di linguaggio dell’autore.

Dove altri per incidere sul lettore userebbero avverbi inutili e disturbanti, Klune e le due abili traduttrici adoperano un linguaggio ricco e pulito.

Mi sono chiesta se il mio punto di vista sia influenzato dalla mia età. Forse sono troppo adulta per il target a cui questa opera può essere dedicata.

Ma non sono estranea agli argomenti trattati, toccano tutti a prescindere dall’età, quindi non posso che pensare che non sia questa la ragione per cui non amo questo libro.

È carino, dolce, quasi melassoso e non è quello che mi aspettavo da questa storia.

Nella vita dei burattini

Volete leggere la trama de Nella vita dei burattini? Cliccate la parola Link

Altri libri Oscar Vault? Leggete questo: La reincarnazione delle sorelle Klun di Manlio Castagna

“Che si tratti di un uomo o di una macchina, pensò Victor, amare qualcosa significa amare il fantasma che ha dentro, esserne perseguitato.”

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