La figlia più amata. Storia delle sorelle medici.
Recensione a cura di Francesca
La vendetta degli dei. Da tragedia a show comico

Accade spesso nella storia che le dinamiche familiari si intreccino saldamente alla politica e al futuro di un popolo, in questo caso la famiglia in questione è quella dei Medici nel romanzo di Carla Maria Russo: La figlia più amata.

Un nuovo punto di vista, non più i soliti racconti di battaglie e lotte di potere. Carla Maria Russo ci accompagna nel Gran Ducato di Toscana mettendo in luce aspetti meno conosciuti delle corti nel 500.
La famiglia Medici, a partire da Cosimo I è il cuore del racconto. Un uomo che per amore delle proprie figlie ha osato sfidare le rigide convenzioni del tempo. Normalmente ci si dovrebbe aspettare un padre attento allo sviluppo e alla formazione dei suoi figli maschi, in particolar modo del futuro erede della casata; invece Cosimo preferisce coltivare l’amore profondo per le proprie figlie.
Bia è la prima, nata fuori dal matrimonio a soli diciassette anni.

“Figlio mio, suvvia,

comportatevi in modo assennato e lasciate la bambina alla cura delle balie.

Siete un duca, adesso prima che un padre.

E a un duca si addice un certo distacco, non manifestazioni di affetto così esplicite.

Fosse un maschio capirei. Ma è solo una bambina…”


Solo una bambina, queste parole racchiudono l’importanza che all’epoca veniva data al sesso femminile.

Un impedimento quasi o uno strumento da poter maritare per creare nuovi intrecci fra casate importanti.
Cosimo invece le amava e le viziava oltre ogni modo e oltre ogni regola.
Era il figlio del famoso e conosciutissimo Giovanni dalle Bande Nere, uomo tanto famoso quanto assente; proprio l’assenza del padre e, per contro, la totale e incondizionata presenza della madre, sono stati i pilastri della sua vita, condizionando inevitabilmente le sue scelte future.

A partire da Cosimo I, Carla Maria Russo in La figlia più bella, ci accompagna a conoscere tutti i suoi discendenti, i loro ruoli nella famiglia Medici e nella politica del tempo.

Una storia fatta di intrighi pericolosi ma anche di grande tenerezza.
La capacità dell’autrice di entrare nella vita dei personaggi del romanzo è straordinaria. La caratterizzazione dei personaggi, in particolar modo delle donne del romanzo è talmente splendida da avere la sensazione di poter udire il frusciare delle stoffe preziosamente ricamate, i profumi delle cucine e del giardino, il palpitare dei loro cuori per le speranze e i sogni coltivati in segreto.
Isabella è scaltra, ribelle e bellissima, e tutte le libertà che si prende sono dovute al fatto che è la preferita di Cosimo, il quale è completamente inebriato dall’amore che prova per questa figlia e alla quale non riesce a negare niente. Proprio per questo motivo Isabella potrà prendere decisioni che le consentiranno di ampliare le proprie passioni. Libertà che non sono concesse alle giovani donne da maritare dell’epoca, neppure se di buona famiglia.


In la figlia più amata gli agi e le libertà di Isabella sono anche il pretesto per mettere in luce le condizioni delle donne del 500.

Era normale considerarle solamente merce di scambio per matrimoni strategici, il più delle volte costituivano solamente un peso da rinchiudere quanto prima in un convento.

Ogni eccesso non consentito veniva duramente punito. Le donne venivano cresciute, o meglio plasmate in funzione del giorno in cui sarebbero divenute merce per rinsaldare i rapporti fra famiglie o ingrassare le casse di qualche signore. Le bambine venivano educate e illuse che dopo il matrimonio, avrebbero potuto guadagnare importanza, onore e libertà. Troppo spesso invece si ritrovavano nuovamente prigioniere, costrette ad accondiscendere ai voleri di un marito sconosciuto e a partorire quanti più figli possibile per il prestigio delle famiglie.
E’ proprio il punto di vista femminile, raccontato con delicate sfumature de La figlia più amata che mi ha lasciato piacevolmente. Voler raccontare da una posizione scomoda, di personaggi troppo spesso dimenticati, in maniera così precisa e profonda rende, a mio parere questo romanzo qualcosa in più di un romanzo storico. Carla Maria Russo lo trasforma in un romanzo di riappropriazione (finalmente) della storia delle donne de Medici e, in un’ottica più ampia, delle donne nobili del 500.

“Spero che ti fidanzino quanto prima. Non vedo l’ora.

Così te ne andrai e non metterai più piede in questa casa”

oppure

“Quand’è che concludono un accordo matrimoniale per te e sparisci per sempre?

Prego solo che sia con uno molto lontano da qui…Un nobile tedesco, magari”

dice Francesco tutte le volte che si arrabbia con lei, ovvero sempre.
“Chi ti dice che una volta sposata, me ne andrò via?” replica Isabella.
“La legge: le donne abbandonano la casa del padre. Non sarai certo tu a fare eccezione.”


Non soltanto un romanzo di donne, ma anche uomini che sono andati contro le regole comuni per amore.
Un ultimo pensiero va a Lucrezia, l’ultimo per colei che è stata l’ultima. La mancanza di bellezza all’epoca era già una garanzia per il convento e forse per lei sarebbe stata una soluzione di conforto. Lucrezia, che nella sua famiglia di conforto e sostegno non ne ha mai avuto. Un’ombra sempre più eterea e invisibile in una famiglia in cui l’opulenza e il bisogno di mostrare e mostrarsi erano fondamentali per assicurarsi sostegno.

Un piccolo petalo in un cespuglio di rovi. Un personaggio che mi ha profondamente commossa.


Debolezze e dolore, paure e intrighi si intrecciano nelle vite dei Medici insieme ad un destino inesorabile che arriverà a distruggere persino le fondamenta di questa nobile, grande casata.

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