Fairy Tale. I sogni a cui non smetterò di credere

Fairy Tale. I sogni a cui non smetterò di credere

Le puoi chiamare come vuoi, racconti, storie, fiabe o Fairy Tale, ad ogni modo sono quelle che, almeno una volta nella tua infanzia ti hanno fatto scrutare dentro l’armadio o nascondere sotto le lenzuola. A volte si scordano, altre volte si portano eternamente nel cuore. Mi domando se anche tu sei un viaggiatore fra i mondi, qualunque sia la tua età.

In Sardegna anticamente venivano raccontate attorno al fuoco dalla donna più anziana, si chiamavano contos de foghile. Nella mia isola, fra Janas, Surbiles, Cogas e creature liminali, di sicuro la notte c’erano battaglie da intraprendere e oscurità profonde da varcare.

Spesso le Fairy Tale rimangono incastrate fra le tele dei ricordi, altre volte sono vecchie amiche d’infanzia che appaiono, per lasciarci con lo sguardo sognante qualche istante di troppo. Avete presente quando qualcuno vi fa schioccare le dita davanti agli occhi perché scoperti a fissare il vuoto a lungo? Chissà quale mondo si cela dietro quel vuoto…
Altre volte le fiabe non ci abbandonano mai e la sensazione è sempre quella di aver vissuto una grande avventura, di essere stati protagonisti di momenti unici e indimenticabili con la pelle e le ossa, oltre le pagine, oltre le parole.

Il biscotto di Alice o il tè col Cappellaio matto per me hanno costituito momenti strettamente connessi alla scoperta di possibilità creative oltre quelle terrene.

Fare amicizia con la propria testa, soprattutto quando si è piccoli porta a varcare cancelli il cui accesso sarebbe normalmente vietato, a visitare giardini mortali e danzare con creature dai contorni sfumati. E poi ancora le pagine sfogliate migliaia di volte, preoccupati di aver perso un passaggio o la chiave per l’altro regno.
Quanto tempo ho trascorso nascosta nello sgabuzzino in compagnia di Bastiano Baldassarre Bucci.
Arriva poi il grande maestro, il compagno di una fase più matura della vita, quella che richiede emozioni forti, che vuole brividi e notti insonni per arrivare all’ultima pagina: Stephen King.

Per me è impossibile non trovare uno stretto legame fra Charlie, il protagonista e la vita dello scrittore che, fin da piccolo si trovò a dover gestire le sofferenze dell’abbandono familiare e le difficoltà economiche.

Stephen King con Fairy Tale crea la favola dark, quella che molti di noi nostalgici aspettavano da tempo per creare il perfetto connubio fra brivido e desiderio di infanzia.

Un capanno, una botola verso un altro mondo ed un giovane eroe non apprezzato, sono elementi già visti in tanti racconti, l’abilità di Stephen King sta proprio nel saper tessere una tela unica su orditi già utilizzati.
Fairy Tale è un lungo racconto che si concede meravigliosamente di pescare dentro le grandi fiabe, di ammantarle di oscurità e spesso di dolore, di trasformarle a tal punto da renderle bisognose di un nuovo eroe.

Quasi un gioco, o meglio ancora una danza macabra con le creature che ci hanno cresciuti.

E così con Fairy Tale mi sono ritrovata a ripercorre quel sentiero di emozioni che pensavo di aver ormai dimenticato. Ho scoperto invece di avere ancora delle briciole da lasciare nel terreno e che il mio stomaco languiva ancora per un pezzo di casa della strega.

Un tripudio di sensazioni quasi adolescenziali, quando si deve essere gli eroi della storia a tutti i costi perché questo mondo continua ad ignorarci, miste però alla disillusione .In Fairy Tale tutto può crollare da un momento all’altro, risucchiando per sempre tutto ciò che ci ha tenuti vivi.

Parlo al plurale perché so che qualcun altro sa perfettamente di cosa parlo e ha appena finito di combattere con un gigante o di cavalcare un drag

Banale? Forse, se restate in superficie, ma se avete voglia di lasciarvi trascinare dalla corrente oscura delle fiabe ancora una volta, allora leggete Fairy Tale.

Fairy Tale è stato candidato al British Book Award per la narrativa nel 2023.

fairy Tale

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Della stessa casa editrice:

La maledizione di Arianna

Prova a non dormire

Le figlie di Foxcote Manor

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Il tempo è l’acqua, Charlie.

E la vita è solo il ponte sotto il quale

quell’acqua continua a scorrere.

L’ultimo Mago. Il grande Gustavo Rol

L’ultimo Mago. Il grande Gustavo Rol

Quando romanzi come questo vedono la luce, miei cari viaggiatori, apro la porta a ricordi che non mi appartengono, ed entro nel salotto di un uomo che ho inseguito col cuore e l’anima per tutta la vita : l’ultimo mago.

Ho letto e ascoltato tanto su Gustavo Rol, fin da quando si è iniziato a scrivere di lui e a registrare la sua voce. Poi è calato il sipario dell’interesse pubblico e per un po’ di tempo, il silenzio ha nascosto al mondo intero la luce e l’eleganza che quest’uomo sapeva abilmente trasmettere.

A dire il vero però, oltre alla semplice conoscenza delle gesta de l’ultimo mago, la vita mi ha donato dei momenti in cui la sua presenza e il suo ricordo sono stati per me una forte spinta ad andare avanti.

Nel 2021 mi sono ritrovata a soggiornare obbligatoriamente a casa di una splendida donna che, con gentilezza e tanto amore si è presa cura di me durante una lunga degenza. Fu un periodo particolarmente difficile, non ero abituata ai piccoli spazi, al traffico e ai ritmi della città, lontana dalla famiglia e dai miei figli.
Il giorno stesso in cui il tampone è risultato negativo mi sono recata nel boschetto più vicino, il parco del Valentino, perché il mio corpo aveva necessariamente bisogno di linfa, di camminare sulle foglie secche, di guardare l’acqua scorrere.

La sera lungo la strada per rientrare, ricordo che il mio sguardo è stato attratto da qualcosa, come una calamita. Fisso un punto ben preciso e scruto le imposte di un appartamento nascosto dai rampicanti. Con sorpresa la mia amica mi dice che quella è la casa di Rol ed io finalmente, dopo ventuno giorni di tensioni e paure, mi sono sentita al sicuro.

Francesca Diotallevi riporta alla luce il ricordo di Gustavo Rol con L’ultimo mago. Lo spolvera amorevolmente come avrebbe fatto lui con i suoi amati oggetti di antiquariato, per consegnare a questo mondo la storia di un uomo unico che è stato amato, seguito e solo parzialmente compreso.

Si può parlare di magia e spiritismo senza necessariamente appartenere al carrozzone di personaggi pittoreschi che spingono pur di raccontarci la loro grande verità.

La conoscenza è anche discrezione e l’ultimo mago ha preferito condividere con una ristretta cerchia di persone il suo sapere. Un gruppo di persone che ovviamente, rimaneva strabiliata e sconvolta dalle sue capacità.

L’ultimo mago è scritto con toni eleganti e sobri, proprio come il personaggio di cui si parla, quasi come se l’autrice volesse accompagnaci dentro la sua vita seguendo questo filo conduttore.

Una scelta di buon gusto a mio parere, in grado di accentuare ancora di più l’eleganza del dottor Rol.

Attorno a questo filo si intrecciano storie d’amore tormentate, traumi di guerra e amicizie dal sapore antico. come piccoli gioielli che ruotano attorno alla vita del L’ultimo mago.

Gustavo Rol con tocchi leggeri e con estrema discrezione, si fa tramite di messaggi che, in qualche modo sciolgono i nodi dei tormenti d’amore, placando le tempeste interiori.

Ad accogliere la vita di un uomo tanto singolare c’è una città che, ancora oggi nasconde tanti segreti. Meravigliosa Torino, che ci accoglie fra le braccia della Grande Madre, grande polmone millenario di storia. Una città che sa raccontare ed ispirare, in grado di rimanere immobile mentre il tempo scorre inesorabile.

Dentro questa splendida corona che è Torino si incastona perfettamente Gustavo Rol che nell’attimo della sua vita, ha compreso e afferrato misteri la cui essenza sfugge alla maggioranza.

L’ultimo mago è poesia e alchimia insieme, è destrezza narrativa, un’opera d’arte che soltanto una grande scrittrice poteva comporre.

Questo romanzo segna per me una nuova partenza, dopo un lungo silenzio. Forse non è un caso che anche questa volta la presenza dell’ultimo mago sia stata discreta ma decisiva nell’indicarmi la direzione. Finalmente riprendo a leggere, finalmente mi concedo di parlare di magia usando le parole che amo, ora lascio che sia.

L'ultimo mago

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Le ultime recensioni Neri Pozza

Una minima infelicità Carmen Verde

Demon Copperhead di Barbara Kingsolver

Non sono un uomo,

sono un’ombra

che fugge tutto e se stessa.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti. Noir e la desolazione dell’indifferenza umana

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti. Noir e la desolazione dell’indifferenza umana

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è un libro che, forse, non avrei mai letto se non fosse stata per una delle ragazze che lavora nella libreria dove vado.

Olga Tokarczuk è una delle scrittrici polacche più amate, vincitrice di numerosi premi tra cui spicca il premio Nobel per la letteratura nel 2018, eppure io non la conoscevo affatto.

Lo so, dovrei essere più sul pezzo ma non posso essere ovunque.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti: già solo il titolo è esplosivo per la mia immaginazione.

La prima cosa a cui ho pensato è la mitologia celtica.

Una Morrigan che con il suo carro da battaglia è pronta a consumare la vendetta per i torti contro il suo popolo.

Invece ho scoperto che è William Blake che ha ispirato il titolo di questo libro.

Anche in merito alla letteratura inglese dovrei essere più sul pezzo, per fortuna le lacune possono venire colmate da altre persone che consigliano libri agli altri.

Non ho sbagliato di molto, la Vendetta centra eccome.

William Blake è una presenza costante in questo libro.

La protagonista Janina Duszejko, tra le sue molte occupazioni, aiuta un suo ex allievo nella traduzione in polacco dell’opera di Blake.

La prima cosa che mi ha colpito è la desolazione del paesaggio. Un francobollo di natura quasi disabitata, dai paesaggi sconfinati ma in cui, essenzialmente, se un albero cade nessuno lo sente.

Tutti tranne la signora Duszejko.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è anche una storia di desolazione.

Non una desolazione fisica ma morale.

Una delle scene del libro mi ha trasportato in un dialogo di un film che amo molto che è Donnie Darko.

Anche lì si parla di fatalità della vita ma quello che mi riporta al libro in questione è quando la professoressa spiega come CELLAR DOOR sia una delle espressioni più belle e vere della letteratura.

Di sicuro, l’intimità della cantina ha molto da narrare in questo libro anche se ci entrerete solo poche volte.

Nel silenzio della neve e delle tempeste notturne, vengono consumati degli omicidi.

La signora Duszejko lo sa, sono OMICIDI non incidenti ed è sicura di avere le risposte che la polizia ignora: sono gli animali ad uccidere.

Un branco di cerve.

E anche sulla mitologia del cervo vendicatore si potrebbe dire molto di più ma non è questo il luogo e non credo sia importante parlarne in questa sede.

Inoltre Duszejko è convinta che il vero motivo delle morti, se ovviamente si esclude che in giro c’è un assassino, è scritto nell’oroscopo delle vittime.

Se una signora piuttosto bizzarra venisse da voi dicendo che sono le cerve ad uccidere, gli credereste?

Ecco, quindi potete immaginare la faccia e l’atteggiamento della polizia alle accuse lanciate dalla signora.

Di norma, un libro come Guida il tuo carro sulle ossa dei morti non è nel mio genere di lettura.

Non capivo perché la mia libraia me lo avesse consigliato, eppure mi conosce.

Forse lei mi conosce meglio di quanto credo.

C’era qualcosa che dovevo scoprire.

Questo è un libro che parla di solitudine, di ingiustizia, di sbilanciamento e del rapporto con il diverso.

È una storia che, sotto la coltre innevata della signora stramba con le buste della spesa che si aggira tre le case vuote del vicinato, nasconde porte di abissi.

Ma gli omicidi?

Ve l’ho detto, sono le cerve che uccidono per vendetta.

Sta a voi scoprire come, no?

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è un romanzo che non ha bisogno di raccontare attraverso la storia.

È un romanzo che parla tra la punteggiatura, tra le sospensioni di una scrittura morbida e dalle fosche tinte noir.

Un libro morbido come la neve e letale come una tagliola per volpi.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti

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Le ultime recensioni?

Afrodite

Il senso dell’Alligatore

“Ritengo che ciascuno di noi veda gli altri Uomini alla sua maniera, quindi abbiamo il diritto di dare loro il nome che riteniamo più adatto e appropriato. Proprio così, abbiamo un sacco di nomi. Ne abbiamo tanti per tutte le perone con vui abbiamo qualche legame.”

Povere Creature! Dalle pagine all’Oscar.

Povere Creature! Dalle pagine all’Oscar.

Ho letto Povere Creature! di Alasdair Gray e, ad un certo punto, la povera creatura ero io.

Fin da subito ho capito che la lettura sarebbe stata una piacevole scoperta e che il libro mi sarebbe piaciuto.

Una scrittura ironica, guizzante, mai noiosa.

Mi è capitato di leggere le pagine di Povere Creature! anche in momenti in cui ero sfinita e la carica narrativa di questo libro mi ha resa felice di aver sottratto qualche minuto al sonno incipiente.

Povere Creature! è un capolavoro.

Ho sbagliato, all’inizio della lettura, a credere che fosse un romanzo gotico.

Ho sbagliato a credere di leggere la versione di Gray del romanzo di Mary Shelley.

La vera questione che riguarda Povere Creature!, se proprio dobbiamo trovare un punto di partenza nella letteratura passata , è da ricercare in Pirandello: Così è se vi pare.

A dispetto della realtà e dell’oggettività, a dispetto di ciò che è normale, c’è una storia e dire chi sta fornendo una versione errata è davvero difficile.

Ma, in fondo, chi può dire di conoscere la verità assoluta quando si sta affrontando un gioco di specchi?

Ho iniziato Povere Creature! e ho pensato di essere coinvolta in un’atmosfera fantozziana.

Sì, sembra tutto così fuori dai binari che suscita l’ilarità del lettore.

È tutto così ilare che si perde il punto del discorso: non c’è proprio nulla da ridere.

Bella è ingenua e totalmente libera di essere chi vuole essere.

Ma è davvero così? Dipende a quale versione della storia decidete di dare credito.

Non posso dare troppe informazioni, anche se immagino che tra i lettori ci sia chi ha già visto il film al cinema.

Io non l’ho visto e non chiedo di sapere come il regista ha deciso di raccontarmi la sua versione, quindi non vi dirò cose che dovrete scoprire leggendo questo libro.

Povere Creature!
Emma Stone interpreta Bella Baxter. Immagine dal web

Diversi sono i temi che si nascondono tra un cenno a Frankenstein e uno al Grand Tour vittoriano (anche se è davvero fuori dai canoni ed è una donna libera ad effettuarlo).

Le situazioni spesso sono talmente assurde che si perde sempre il fuoco del discorso: non c’è nulla da ridere, non importa quale sia la versione della verità che scegliete.

Questa storia parla di Povere Creature! ma non si sta parlando di denaro.

Anche quando tutto sfolgora è nella crepa di un sorriso che si cela la povertà, è nella fama di un regno che si scopre cosa non funziona, è nella osannata società di una Gran Bretagna all’apice del suo fulgore che non si può voltarsi a guardare altrove.

Anche se tutto è al massimo dello splendore bisogna ricordarsi che si è tutti uguali nel privato della propria esistenza.

Anche coloro che sono pronti a scagliare pietre, anche coloro che vengono lapidati.

La povera creatura sono io che credevo di poter ingabbiare questo libro in una categoria.

La povera creatura sono sempre io che sono caduta nel tranello dell’autore e mi stavo facendo trascinare da esperienze letterarie e sociali pregresse.

La povera creatura sono io che non ho ancora avuto tempo di ammirare la pellicola di cui Emma Stone è riconosciuta come indiscussa stella.

Normalmente rifuggo dai testi di cui troppo si parla ma se Yorgos Lanthimos non avesse proposto la sua visione e questa non avesse vinto numerosi premi, probabilmente, non avrei mai colto la possibilità di avventurarmi in questo libro.

Così è, se vi pare. intitolava l’opera teatrale.

Ci sarà anche la verità sullo svolgimento di questa intricata vicenda ma il punto è che la sterilità di una versione unanime non importa.

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Volete Leggere qualcos’altro?

Il Ladro di Scarabei

Moby Dick

“Gesù era sconvolto dall’universale crudeltà e indifferenza quanto me. Anche lui dev’essere rimasto inorridito scoprendo che doveva migliorare le persone contando solo sulle proprie forze”

La stagione delle Erinni. Cicerone in una spy story per nulla scontata

La stagione delle Erinni. Cicerone in una spy story per nulla scontata

Ritornata in possesso di un minimo tempo per le mie amate letture, ho deciso di iniziare con un libro uscito l’anno scorso per Einaudi: La stagione delle Erinni di De Bellis e Fiorillo.

Ho cominciato con un romanzo storico, ho iniziato con Roma alle prese con Sertorio e Spartaco.

Ho avuto paura.

Tanta paura che il libro si adagiasse sulla solita linea temporale con coinvolge i soliti ignoti e ne facesse una poltiglia di Storia macilenta trita e ritrita.

È invece…

Invece mi sono dovuta ricredere.

Sì, perché pur sfoggiando tra i protagonisti gente di rispettoso lignaggio e nomi altisonanti nella Storia, i due autori hanno creato una storia priva di puzza sotto al naso e tracotante arroganza letteraria e storica.

La Stagione delle Erinni meriterebbe, secondo il mio modesto avviso, anche solo perché non ha fatto diventare un’Erinni me.

Questo duo letterario, già autore de Il diritto dei Lupi (che personalmente non ho ancora avuto il piacere di leggere), ci presenta un Urbe vittima del deterioramento della Repubblica di Roma.

Una Repubblica che non si riconosce più, una Repubblica che non esiste più e, forse, si vocifera nelle strade, non è mai nemmeno davvero esistita.

La stagione delle Erinni è una “Spy-story”.

Sertorio in Hispania ha messo in ginocchio la potenza di Roma, umiliandola più che annientandola, ma è successo qualcosa ceh ha incrinato la sua lucidità.

Qualcosa gli ha forzato la mano e i suoi stessi seguaci gli stanno voltando le spalle. L’ex generale non ha più scelta oltre a quella di donarsi la morte.

A Roma, lo stimato Lucio Valerio Flacco Poplicola è deceduto lasciando la giovane Plauzia Nevia Capella minore vedova anzitempo.

Il padre della giovane è sul piede di guerra: la famiglia del defunto genero, i Valeri, non vuol permettergli di venire possesso dell’eredità che il compianto ha tramandato alla sua giovane sposa.

Come dar torto ai Valeri e a Quinto Nevio Capella (il padre di Plauzia): si sta parlando di Venti milioni e mezzo di sesterzi.

Un’eredità di tutto rispetto quella di Plauzia.

Venti miioni di sesterzi… e mezzo.

Per dimostrare la legittimità del lascito, Capella decide di interpellare uno dei principi del Foro: Marco Tullio Cicerone.

Non sembra affatto una cosa facile, derimere questa storia del testamento, soprattutto se i Valeri di mettono di traverso.

Cicerone è alquanto dubbioso sul da farsi ma altri nomi della Repubblica romana stanno per entrare in ballo.

Vi dice nulla il nome Marco Licinio Crasso?

La stagione delle Erinni sta per iniziare perché se c’è, a Roma, qualcuno che proprio non si deve aver tra i propri nemici è Crasso.

Questa è una spy story.

È un fattaccio intricato perché tutti quelli che hanno a che fare con quel testamento muoiono tra atroci sofferenze…

Ma, scusate se mi ripeto, la posta in ballo sono VENTI MILIONI DI SESTERZI… E MEZZO.

La stagione delle Erinni mi è piaciuto?

Scritto bene e per più di metà libro riesce a sviare l’attenzione del lettore da uno scenario all’altro, da un protagonista all’altro tanto che si potrebbe pensare che i fatti, il più delle volte siano talmente scollegati.

Ma come direbbe qualcuno: le coincidenze non esistono.

Verso la fine, proprio quando i nodi iniziano a venire al pettine, il ritmo smette di essere serrato. Più i protagonisti braccano il nemico più la furia delle Erinni sembra farsi fiacca.

Ma ho passato del tempo piacevole con questo libro che affronta la piazza di Roma senza tritare le storie dei soliti ignoti dell’urbe che è sulla soglia di un cambio di Regime.

Abbiamo Sertorio ma è solo sullo sfondo,

Abbiamo Crasso che non è protagonista come lui vorrebbe, questo lo fa arrabbiare ma a noi non interessa;

C’è anche Messalla ma non siete costretti a parlarci.

Cicerone è diverso dall’oratore che sono abituata a conoscere ma si difende e combatte come sua consuetudine per i suoi ideali.

Dovete leggere La stagione delle Erinni, ve lo consiglio per una lettura piacevole e di buona compagnia.

La stagione delle Erinni

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“Soffocare un sogno in mezzo a sette meledettissimi colli! A questo è ridotta la visione di Mario? Roma è ovunque, il fuoco di Vesta può illuminare l’hispania come l’Italia, l’Africa, la Grecia e il buio ai margini del mondo. Ma voi no vedete al di là del Pomerio! La Roma che immaginate è un mostro annidato nelle vostre anime dai contorni troppo ristretti.”

L’equilibrio delle lucciole.

L’equilibrio delle lucciole.

Ci voleva una giornata di pioggia per inchiodarmi ad una sedia e scrivere, a volte si fa di tutto pur di sfuggire dalle proprie emozioni, oggi però le gocce d’acqua possono camuffare le lacrime e consentirmi di liberare questo torrente in piena: L’equilibrio delle lucciole.
Non ho cercato questo libro, forse lui ha scovato me. Nascosta fra mondi di possibilità ho visto lucciole danzare e universi nascosti fra i rami della vita. L’ho preso senza nemmeno pensare, a volte l’istinto sa essere un buon maestro.

Questo libro non può essere valutato con stelline o apprezzamenti, non valgono le parole perché non sono sufficienti.

Ogni parola scritta è cura e tormento, ricordo e risveglio. Non tocca soltanto la pelle, va più in profondità. Arriva fino ai nervi, li tende e li riscalda, li fa fuoriuscire dal corpo fino a renderli radici consapevoli della nostra vita.

Non è stato facile, ho centellinato le pagine facendole diventare rito. Mattino, mi nascondo al mondo respirando la campagna, libero dal guinzaglio i miei fedeli amici e apro la porta. Nella casetta invasa dalle foglie lascio andare i muscoli al profumo del mosto. Mi abbandono su una sedia sgangherata e mi prometto che saranno solo dieci pagine, non di più. Poi finisco col rubarne ancora qualcuna perché il respiro del paesino di montagna somiglia a quello del mio fra le colline. Sempre più stanco, sempre più curvo.

Eppure ci sono profumi di fioriture e di emozioni a cui troppo spesso non ho fatto attenzione. Me ne rammarico, ingoiando una lacrima .

Le lucciole stanno sparendo dicono tutti, forse siamo noi che non le sappiamo più osservare. Forse si sono nascoste fra le crepe dei muri scrostati o nelle cantine delle case abbandonate e creano in silenzio la rete della vita. Una rete che sembra quella di un ragno, sottile, trasparente ma perfetta, ti accorgi che esiste solo se la guardi in controluce o se ti sfiora la faccia. Quella rete è il respiro dei piccoli paesi, delle piccole vite che sono piccole luci ancora in grado di indicare il vero senso della vita. Siamo esseri di natura, siamo talmente connessi a lei che spesso la diamo per scontato. Come l’amore di una madre che si pensa di possedere per diritto.

Valeria Tron tocca le corde di questa ragnatela, lo fa con tocchi delicati e pare quasi che abbia la capacità di sciogliere i nodi della vita solamente raccontandoli. Almeno così è stato per me.

L’equilibrio delle lucciole ha bloccato il tempo nel paesino di montagna e nel mio contemporaneamente, lo ha bloccato nell’istante in cui ho aperto la porta della mia casetta in campagna, e lì io sono rimasta con tutta l’anima.

Alle foglie secche e al vento che taglia ho fatto una promessa: avrei ripreso a parlare di emozioni anche nei libri, avrei ripreso a respirare rispettando il ritmo dei miei polmoni. Se vi aspettate dettagli de L’equilibrio delle lucciole allora andate da un’altra parte, io ho scelto di parlare di questo libro attraverso me. Sono ancora incastrata fra vite di persone che mi si sono materializzate davanti. Strappata fra Ade e Nanà, fra disillusione e piccoli gesti che costruiscono la vita. Eppure sono innamorata, piena dell’ebrezza di questo sentimento che riempie le fronde degli alberi, e le fa danzare all’unisono.

Sono io e sono loro, e per la prima volta sento fra le pagine una realtà tanto vicina da poterla accarezzare. Mi sono fatta formichina e fascina di legna, sciolta dentro una tisana calda e incastrata fra un pettinino e gli occhiali Neve. Sono loro, eppure è il mio mondo, ed è il mondo di chi ha la fortuna di vivere fra i calcinacci di un luogo antico, vivendo nell’inconsapevolezza di essere quella trave che ancora tiene il tetto. Fondamenta di un mondo semplice fatto di frutta matura e legna da ardere, fatto di lotta alle disgrazie e di spalle a cui sostenersi per andare avanti.
Ade e Nanà chiudono le imposte perché si è fatta sera e io grido disperata perché non voglio che cali la notte sulle loro storie. Oscillo pericolosamente, in equilibrio su un filo che si sta staccando, lanciandomi inesorabilmente dentro il limbo di una quotidianità che non mi appartiene, costringendomi a rumori e parole a cui non sono pronta, non oggi.
Nanà, Ade e le lucciole mi sorreggono, mi fanno scaldare vicino alla stufa. So che Nanà sta creando una sciarpa anche per me e che Ade sta preparando un nuovo disegno, forse sarò così fortunata da diventare il chiodo che sorregge il quadro che diverrà.

C’è un segreto enorme nelle piccole cose che fanno sopravvivere. C’è la vita stessa, quella che non sconvolge il mondo ma lo accarezza. Vita che non invade con prepotenza,
ma illumina delicatamente con la luce fioca di una candela, con la delicata luce di una lucciola sopravvissuta.

Grazie per aver scritto questo libro, grazie per ogni dolorosa parola. Per aver saputo dare equilibrio alla follia della vita. Io resto qui ancora un po’ e qualcosa di me ci rimarrà per sempre.
Chiudo la porta a chiave, piove forte ancora, richiamo i miei amici fedeli e torno a malincuore alla macchina. Prima però osservo le mie mani, sono capaci, così come la mia testa, di ritrovare il tempo e il modo giusto per vivere nella pace del cuore, dove il lavoro della terra non spaventa e i petali dei fiori disegnano pensieri.
Sbatto le ciglia umide, tornerò presto con un nuovo libro nel petto ed una nuova storia, ad evocare anime ed emozioni, ma per ora voglio stare a casa di Nanà ad osservare la prima neve.

Leggi la trama

Un altro libro che mi ha emozionato:

Una minima infelicità