Le lupe di Pompei di Elodie Harper. Vite amare in un lupanare
Ogni lettura per me è diversa. Alcune volte la mia attenzione si impiglia, viene trascinata dalle maglie della storia e la passione per la narrazione aumenta fio a che non mi trovo completamente travolta dalla storia. Questa volta la storia mi ha travolta ma non nella maniera consueta: Le Lupe di Pompei di Elodie Harper, edito per Fazi nel 2022, è stata più una catena che mi ha immobilizzata e mi sono accorta di cosa succedeva solo quando mi sono sentita soffocare.
Questo libro è solo il primo di quella che si preannuncia una trilogia davvero interessante.
Lo ammetto con i lettori, questo libro mi è finito tra le mani perché mi aspettavo una storia interessante ma leggera.
La copertina non fa pensare ad un libro frivolo ma dona al colpo d’occhio un tocco seducente che permette di acquistare questa storia per poi svegliare il lettore con tutta calma, giusto un passo dopo aver varcato la soglia del Lupanare.
Quasi tutti sanno che i Lupanari nella società romana erano i postriboli in cui le donne svolgevano il mestiere di prostitute.
Ma, oltre ad immaginare l’ovvietà della condizione di queste donne (non che non ci fossero degli uomini) schiave e prigioniere, vi siete mai soffermati a pensare che queste fossero delle vite appartenenti ad esseri umani?
Sembra una domanda scontata o una critica ma non vuole esserlo. Si sorvola sempre sulle vite delle persone che vissero molti secoli prima di noi, non ci si chiede mai come fosse essere loro.
La vita di una schiava o di uno schiavo, per la maggior parte di loro, era dura. Stenti e fatica erano all’ordine del giorno e della notte e solo qualcuno trovava un padrone giusto, di questi ultimi solo una parte finiva di riacquistare la propria libertà.
Ne Le lupe di Pompei riacquistare la propria libertà è per lo più un miraggio.
Questo è un libro sulle umili della storia.
Il libro è ambientato a Pompei solo qualche anno prima della grande eruzione e non molti anni dopo un grande terremoto che sconvolse la regione partenopea e non solo.
Elodie Harper ha ricostruito una Pompei viva, una pittura molto più che vivida di una cittadina che era un crocevia di genti e molte etnie diverse.
Ha dipinto il mondo degli schiavi in modo che ne Le lupe di Pompei il lettore potesse sentire le catene e potesse finire strozzato da queste.
Le vite narrate sono cinque, ognuna delle ragazze fa i conti con la vita come meglio riesce.
Delle cinque è Amara quella che il lettore segue più da vicino ma attraverso lei e alla sua presa di consapevolezza del mondo in cui vive, si capisce che nemmeno il punto di vista più vicino è sempre abile nel capire quello che lo circonda.
All’inizio della lettura non capivo se il libro mi piacesse. Le lupe di Pompei non si è fatto amare subito, mi sono affidata alla fine ricerca storica dell’autrice e ho deciso di prendere per mano la sua protagonista per capire cosa ci fosse che non riuscivo a capire.
Sapete cosa stava succedendo? Le lupe di Pompei mi stava mostrando delle realtà che il mio cervello non stava accettando.
Mi sono data della sciocca da sola, in fondo sono un’archeologa e conosco i luoghi. Quello che non mettevo a fuoco e che conosco i luoghi, conosco il loro uso e liquidavo come quello che succedeva al suo interno come la conseguenza di un dato di fatto.
Il cinema e la letteratura ci hanno più volte detto cosa capitava alle prigioniere di guerra, alle indigenti. Io stessa ho parlato delle donne di Troia nella mia ultima recensione su Il pianto delle troiane, eppure ho dimenticato.
Ho dimenticato che non solo le protagoniste di una storia famosa come la guerra di Troia hanno avuto un epilogo tragico ma è anche la sorte di altre protagoniste di “guerre” molto più piccole e non cantate dalla storia.
Le lupe di Pompei erano donne con un’anima esattamente come la mia e le vostre e si sono guadagnate il diritto di raccontare la loro storia.
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Da morti non si vale niente.
Graffito a Pompei