Roma Brucia. Nerone il colpevole innocente dell’incendio del 64 d.C.

Roma Brucia. Nerone il colpevole innocente dell’incendio del 64 d.C.

Mi sono imbattuta, forse a causa del caldo torrido in una copertina che narra di un incendio. Forse, uno degli incendi più famosi al mondo: Roma brucia, Nerone e l’incendio che mise fine ad una dinastia è un saggio di Anthony A. Barrett ed è edito per Einaudi.

Non potete negarlo: se anche solo si accenna a Nerone la prima cosa che viene in mente a tutti è che diede fuoco a Roma; se invece nomino l’incendio di Roma la prima parola che viene in mente a tutti è? Nerone, ovviamente.

Olim erat… (C’era una volta…) qualcuno che disse di aver visto l’imperatore, sulla torre di Mecenate, cantare mentre le fiamme bruciavano Roma; qualcuno disse di averlo visto aggirarsi nelle vie della città intonando la storia della caduta di Troia; qualcun altro disse ancora che, per meglio rendere l’idea delle ultime ore della grande Ilio, Nerone avesse egli stesso acceso la città.

Qualcuno lo disse, altri lo scrissero e tutti ci credettero. Anche a distanza di secoli.

Ogni imperatore ha la sua croce da portare a spasso nei secoli, il suo cliché storico da cui non riesce a liberarsi nemmeno da morto.

Roma brucia è la condanna di Nerone.

Gli unici fatti certi sono che fece uccidere sua madre, molti altri membri della sua famiglia ma diede fuoco a Roma?

Roma bruciò nel 64 d.C. sotto il regno di Nerone.

Il 29 luglio del 64 d.C. per essere precisi.

La prima scintilla prese vita in una delle botteghe che affiancavano, o soffocavano, le vicinando del Circo Massimo e da lì iniziò la sua marcia inesorabile verso la gloria della fama storica.

Le fiamme si alzarono e fagocitarono tutto quello che era sulla loro strada.

Chiudete gli occhi, quello che sentite non è il crepitio del fuoco nel camino ma il ruggito di mille leoni.

Immaginate di essere in strada, di non poter scappare in nessuna direzione perché la strada che prima si apriva, davanti a voi, è appena stata travolta da altre fiamme che non sapete da dove possano essere apparse.

Lo sentite sulla vostra pelle: il vento, che quella notte è più simile ad una tormenta alimentata dai mantici di Vulcano, è rovente. La gente urla, cerca di salvare i propri averi e la propria vita, esattamente in questo ordine.

Tra il fumo, le fiamme, le urla, il vento qualcuno vede l’Imperatore muoversi tra le fiamme come se fosse sul suo palco preferito, in realtà sta facendo ben altro, e scorge anche taluni individui della guardia pretoriana o dei vigiles, che si prodigano per buttare a terra gli edifici e magari depredarli.

Sul fuoco vengono gettati secchi di terra e acqua ma, con quel vento, non c’è nulla che sia così veloce da permettere di salvare la città.

Tutto questo non durò una notte soltanto.

Roma, nel 64 d.C., brucia per 6 giorni e quando sembra che tutto si stia spegnando, le fiamme si rialzano ancora fino al nono giorno.

Le perdite in termini di vite umane sono inimmaginabili e i danni sono incalcolabili.

Roma brucia ma è stato Nerone?

Potrei raccontarvi che Nerone non era nemmeno a Roma quando l’incendio divampò. Troverete, però, nelle fonti, tarde, che abbiamo a disposizione: Svetonio, Tacito e Cassio Dione, che quando le fiamme sarebbero arrivate a lambire le sue proprietà si catapultò nell’Urbe per domare l’incendio.

Quali proprietà voleva salvare Nerone? Di sicuro non il Palatino che fu uno dei primi luoghi a subire la furia delle fiamme.

Perché era corso in città? Aveva altro da preservare ma forse, e dico forse, stava facendo quello che la famiglia imperiale aveva già fatto in passato: aiutare a sedare le fiamme.

Roma brucia ma era la prima volta?

Il problema degli incendi era così radicato nella vita della capitale dell’Impero che, fin dall’epoca repubblicana, si cercava di trovare qualcosa che potesse, se non mettere fine, almeno contenere efficacemente i danni e le perdite.

Ci provò anche Augusto. Dopo Nerone tentarono anche i Flavi. Ci riuscirono?

Si raccomandò di usare materiali refrattari al fuoco come le pietre di derivazione vulcanica, legni molto più resistenti, il contenimento delle altezze delle insulae abitative, ulteriori piccoli accorgimenti che potessero offrire al fuoco altro sfogo.

Ma la storia dell’Urbe insegna che l’incendio del 64 d.C. non fu l’ultimo e forse nemmeno il più disastroso.

Fu solo quello di cui tutti scrissero.

È stato quello che ha coinvolto un uomo che è passato alla storia, per lo più ingiustamente come un mostro incendiario.

Se proprio ci fu un colpevole fu il vento come d’altronde afferma anche Barrett. Siamo tutti portati a credere che se le fonti storiche raccontano un determinato fatto allora questo deve essere accaduto.

Ecco, no. Non è una verità inconfutabile.

In questo caso il problema è che l’unica voce coeva è quella di Plinio, Naturalis Historia, che non sembra molto concentrato sul fatto, anzi.

Le altre fonti già citate sono più tarde, frutto di altre opere che per noi sono perdute e derivazione anche di giudizi personali che non sono certo dalla parte del figlio di Agrippina ma, leggendo bene, nemmeno così a sfavore.

Le fonti storiche sono utili ma non definitive in assoluto.

Chi mai leggerebbe i quotidiani senza usare spirito critico e non avvalendosi di altre informazioni per comprendere una notizia?

Scusate, domanda sbagliata.

Roma brucia ma le fonti archeologiche non hanno nulla da dire?

Qualcosa si, ma tenete presente che la città non è rimasta ferma dopo l’incendio del 64 d.C. molto si è costruito e molto si è distrutto.

La stratigrafia è complessa e non basta identificare uno strato di annerimento per dire che corrisponde allo specifico evento in questione.

Insomma, non si può pensare che una volta arrivata a quello che pensiamo sia stato il suo massimo splendore, nessuno l’abbia più toccata per paura di cambiare qualcosa.

Esempio pratico: il luogo dove sorge casa mia, ai tempi dei romani, era quasi mare aperto.

Esempio più vicino all’incendio?

Al posto del tempio di Venere e Roma di età Adrianea, sorgeva il vestibolo della Domus Aurea e nel luogo in cui si erge il Colosseo (nome che deriva da una colossale statua di Nerone, innalzata per altro dopo la sua morte) si trovava un piccolo lago appartenente proprio al progetto edilizio della su citata domus.

Roma brucia e cosa accadde dopo l’incendio?

Nerone fece portare via i detriti a sue spese, alcuni vennero utilizzati per ricostruire.

Fu costretto a tassare la popolazione, non il popolo ma i grandi possidenti di Roma, per recuperare il denaro per ricostruire la città e, nessuno lo nega, finanziare anche il suo progetto della Domus Aurea.

Questo non aiutò la popolarità dell’ultimo dei Giulio Claudi presso il senato.

L’incendio e la successiva crisi monetaria portarono anche ad una forte svalutazione della monetazione argentea e nemmeno questo portò felicità a coloro che i soldi li avevano e nemmeno alla classe media se vogliamo proprio essere pignoli.

Perché le disgrazie non arrivano mai sole, ci fu una non ben identificata pestilenza che portò altre morti e altro malcontento.

C’è stata anche la questione della pretestuosa accusa di aver perseguitato i cristiani accusandoli delle fiamme.

È vero che vennero accusati dei cristiani e le fonti raccontano, le solite di prima, che la rappresaglia di Nerone fu crudele e ingiusta ma non totalmente indiscriminata.

“Tacito non vuole illuminare il lettore, bensì confonderlo ancor di più, dando un pezzettino di colpa a Nerone e un altro ai cristiani, ch’egli entrambi odiava” Yavetz, Z.

Su una cosa però siamo d’accordo: fu la prima volta in cui i cristiani subirono punizioni dal potere centrale e non per motivi religiosi.

Le fonti sono, come ho già detto lacunose, ma sarebbe stato interesse degli autori cristiani aumentare il carico delle accuse su Nerone ma, nella realtà, si potrebbe dire che quasi non tocchino l’argomento.

È difficile comprendere lo sviluppo pedissequo di avvenimenti che si sono rimescolati nel tempo, narrati solo a molti anni di distanza. Molte vicissitudini hanno portato alla perdita delle fonti coeve.

Fanno parte delle vicissitudini anche gli incendi.

Nerone, inoltre, dopo la furia delle fiamme, a seguito delle accuse che gli piovvero addosso, diventò paranoico e niente affatto incline alla pazienza. Questo portò al crollo totale della fiducia presso il senato e quella fu fine.

Quindi, in conclusione, Nerone fu la causa dell’incendio di Roma? O ne diventò uno dei capri espiatori?

Dovete leggere il saggio di Anthony A. Barrett per saperlo, continuare a porvi domande e leggere altro ancora.

L’autore vi pone i fatti così come appaiono, ponendo in contrapposizione le discrepanze di tutto quello che è stato trovato fino ad ora. Domande e ancora domande ma nessuna Storia è mai scritta del tutto.

Nerone ha ancora molto altro da raccontare: avete scorto cosa è apparso di recente al di sotto di Palazzo della Rovere a Roma?

Roma brucia

Volete sapere dove trovare la vostra copia di Roma Brucia? Cliccate sulla parola LINK

Altri libri Einaudi? Il pianto delle Troiane

“Svetonio riportava un detto popolare secondo cui Roma si stava tramutando in una sola casa e i Romani avrebbero fatto meglio a emigrare a Veio, sempre che la casa di Nerone non avesse inghiottito anche quella cittadina”

Il canto di Messalina. Melodia distorta di un’imperatrice.

Il canto di Messalina. Melodia distorta di un’imperatrice.

Tra tutti i personaggi femminile della storia antica che nella mia vita da lettrice e da storica, ho conosciuto, lo ammetto: tutte mi aspettavo tranne la più improbabile di tutte. Antonella Prenner, per Rizzoli, pubblica Il canto di Messalina.

In fondo, perché no?

Perché la scandalosa imperatrice di Roma non dovrebbe aver voce, in questo periodo storico, in cui tutte le eroine delle leggende prendono voce per smascherare l’ingiusto trattamento che è stato riservato loro?

Figlia di Domizia Lepida, nipote della sorella di Augusto, e di Marco Valerio Messalla Barbato, Messalina è, se non la più famosa, una delle più famigerate matrone della casa imperiale.

Antonella Prenner, forse ha infiorettato la vita di questa giovine, ma ci restituisce una Valeria Messalina viva e ebbra di passioni.

Sapete, quando ho visto questa pubblicazione, mi aspettavo che la scrittrice mi avrebbe raccontato di una Valeria Messalina che le fonti avevano distorto, che mi avrebbe narrato un’imperatrice distrutta ingiustamente dalla tradizione che ne ha narrato le gesta.

Mi aspettavo un libro in cui non mi sarei riconosciuta come storica e che avrei storto il naso ben più di qualche volta.

Come è andata? Il canto di Messalina è un canone inverso, è una melodia dissonante e straziata.

Non sono così abile con le parole, probabilmente non riuscirò in poche righe a dirvi cosa c’è da sapere su questo personaggio ma farò quello che posso.

Valeria Messalina prende il suo nome dal padre, le ragazze del suo tempo non hanno la possibilità di ricevere un nome scelto tra milioni di possibilità.

A Roma le ragazze ereditano il nome della loro Gens paterna.

Le donne romane erano più libere delle donne greche, soprattutto quelle nate nelle famiglie più abbienti, ma non pensiate che potessero avere chissà quale margine di azione.

Non avrebbe mai potuto scegliere di sposarsi per amore, nemmeno se suo padre fosse stato vivo lo avrebbe permesso.

Era davvero molto giovane, per i canoni moderni lo sarebbe stata troppo.

Il canto di Messalina cosa vi mostra che ancora non sapete?

Suppongo che nell’immaginazione di tutti, Messalina sia quanto di più vicina ad una donna che si può definire poco virtuosa.

Famosa per i suoi complotti, per gli omicidi commissionati e per la libertà discinta nell’amministrare il suo corpo.

A suo confronto, le accuse degli storici mosse contro Livia Drusilla, Giulia e Agrippina maggiore sembrano delle reprimente per educande.

Messalina e il suo canto… non c’è giuria che possa assolverla, nemmeno al giorno d’oggi.

Il canto di Messalina, ve l’ho già detto: non è una melodia pastorale, non è un valzer.

La sindrome di Messalina è un fenomeno riconosciuto dalla psicologia e vi rimando alle pubblicazioni scientifiche per sapere di cosa si tratta ma posso dirvi che i nomi delle sindromi non spiegano la personalità della persona che dona loro l’appellativo.

Fatico a trovare le parole per questo libro che mi ha sorpreso. L’ho letto in due giorni e mi ha completamente stravolta.

Messalina NON è una vittima, l’imperatrice vive in una follia dissociativa.

È difficile accettare, per noi ma anche per le persone come Messalina, che ci sia qualcuno al mondo che non percepisce la realtà di quello che si percepisce e che si vede. Queste persone insistono di essere nella ragione e per chi sta loro attorno è un gioco al massacro.

L’atmosfera della lettura di questo spartito è dissonante.

Il canto di Messalina è la strozzata cacofonia di una musica che suona nelle orecchie di chi la canta in maniera differente di come arriva a chi la ascolta.

La danza di una menade che non ha visto finire il baccanale e ancora balla senza la musica ad accompagnarla.

Questa è una marcia di morte e la giovane Valeria Messalina non se ne accorse prima del barlume d’argento.

Vorrei che teneste a mente questo, perché nel libro è ben presente quest’atmosfera: Messalina cercherà di irretirvi alle sue ragioni ma, davanti a voi, è ben presente la realtà che lei sta distorcendo.

Potreste essere in accordo sul fatto che è stata data in sposa ad un uomo molto più anziano di lei e che lei non volesse.

Suo marito fu scelto dai suoi genitori su consiglio dell’imperatore, non è nulla di strano per quel tempo, ma Caligola non era una persona a cui si potesse dire di No.

Claudio non solo era anziano ma anche claudicante e balbuziente. Insomma, per una bellissima giovane quale era Messalina, non era quello che si dice un adone.

Roma, ahimè, non è governata da sentimenti o da favole ma da alleanze.

Chi ha mai avuto tra le mani l’Apolokyntosis di Seneca ha un’idea di come lo zio di Caligola apparisse ai suoi detrattori.

Messalina ha molti spettri nella mente che si agitano convulsi: Valerio Messalla, Giulia e Agrippina Maggiore. La giovane imperatrice coltiva questi nomi come miti senza rendersi conto che le loro storie non sono la sua.

Messalina è arrogante, talmente da non comprendere. Non ascolta nessuno finché non sente quello che vuole lei.

Non vi confondete: Valeria Messalina NON è un eroina moderna.

Non ha bisogno di amore ma di assoggettare le volontà ai suoi capricci.

Si dice che nella gens giulio-claudia scorresse il gene della pazzia e forse è così ma…

Messalina canta alla sua cara luna una canzone non sente nessun altro.

Si è prefissa una missione che non aveva motivo di esistere, ha compiuto atti indicibili per il puro piacere di esercitare un potere che era il riflesso della luce di altri.

Lei guardava l’uomo che era stata costretta a sposare ma non vedeva Claudio.

Eternamente insoddisfatta per i motivi più volubili, tenterà di convincervi che il mondo è contro di lei.

Tenterà di essere la sirena che vi conduce nelle profondità del mare.

Non c’è davvero giuria che potrebbe assolverla. Non c’è coro che potrebbe assecondare la sua musica, nessuna Circe a comprendere i suoi incantesimi. Nemmeno Medea comprenderebbe la sua ira.

A differenza delle donne che Messalina prende ad esempio per giustificare la sua condotta, Livia Drusilla e Tiberio non avrebbe dovuto mandare nessuno a metterla a tacere: non c’è bisogno di far uccidere chi si distrugge da solo.

Il canto di Messalina

Volete sapere dove acquistare Il canto di Messalina? Cliccate sulla parola LINK

Era felice perchè vedeva il suo proposito vicino, le mani sulla pelle di suo marito flaccida, pallida, fredda di morte, lo avrebbe accarezzato, trafitto da una spada o rosso di sangue ancora fresco, oppure livido al collo per il segno della corda, gli occhi sbarrati in cerca del respiro interrotto, e gli avrebbe dato un bacio sulle labbra esangui, l’ultimo, l’unico vero. Ma possibile che felicità significasse dare la morte?