Abbiamo sempre vissuto nel castello. Magia narrativa che sposta il confine fra bene e male.

Abbiamo sempre vissuto nel castello. Magia narrativa che sposta il confine fra bene e male.

La Jackson si conferma ancora una volta maestra dell’inquietudine, in Abbiamo sempre vissuto nel castello riesce a far nascere nel lettore un oppressivo senso di smarrimento, pur descrivendo normalissimi gesti quotidiani.

Immaginate un semplice paese del nord america circondato dalla campagna: gente che chiacchiera al bar, bambini che giocano e intonano filastrocche, donne indaffarate tra panni e pranzo.

Ora spostate lo sguardo verso la periferia, proprio dove inizia il bosco, dove la grande casa della famiglia Blackwood troneggia da tempo immemore. Il cancello è chiuso, nessuno si avvicina più e le canzoncine intonate dai bambini del paese si riferiscono sempre alla grande casa in periferia.

I maschi del paese si mantenevano giovani spettegolando,

e le femmine invecchiavano aspettando in silenzio che figli e mariti tornassero a casa,

mentre una grigia stanchezza malvagia si impossessava di loro.

Se trattenete un attimo il fiato, potrete sentire il suono di un pendolo.

Ritmicamente, giorno dopo giorno,egli scandisce i vari compiti della giornata:

 Merricat vai a fare la spesa, è tempo di preparare il pranzo, è la giornata da dedicare alle pulizie del grande salone. Tutto perfettamente calcolato, giorno dopo giorno,  come una danza sicura e confortevole, i cui passi non cambiano mai.

Merricat, Costance e lo zio invalido.

Dimenticavo Jonas,il fedele gatto, questa è la famiglia Blackwood, o ciò che ne resta.

Fra le righe di Abbiamo sempre vissuto nel castello si cela una malsana armonia che si imprengna nelle mura della grande casa, una coltre di illusione fatta di dolcetti appena sfornati e lenzuola pulite.

Tic tac, tic tac, pare quasi di osservare un delicato dipinto: due giovani sorelle e uno zio che sorridono nel loro castello.

La strenua difesa dell’immobilità è il segreto per preservare quella gioia innocente, o folle.

Accade però che il nostro pendolo a volte si fermi, e allora qualcosa rompe inevitabilmente la pace quotidiana.

Anche il nostro viaggio si ferma per un attimo, in uno spazio temporale in cui la comprensione dei fatti non coincide più con l’immagine dei personaggi, sembra quasi impossibile eppure il male si annida dentro le case silenziose, allora rimaniamo attoniti, in preda ad una strana inquietudine mista ad incomprensione, nell’osservare lo stravolgimento dei perni portanti del racconto, tutto è esattamente ciò che non dovrebbe essere.

Conosci il sapore dell’arsenico?                                                     

Per fortuna quasi sempre il pendolo  riprende il consueto ticchettio riportando tutto nell’apparente ordine, o forse la nostra psiche è ormai irrimediabilmente scossa.

Mi chiamo Mary Katherine Blackwood. Ho diciott’anni e abito con mia sorella Constance. Ho sempre pensato che con un pizzico di fortuna potevo nascere lupo mannaro, perché ho il medio e l’anulare della stessa lunghezza, ma mi sono dovuta accontentare. Detesto lavarmi, e i cani, e il rumore. Le mie passioni sono mia sorella Constance, Riccardo Cuor di Leone e l’Amanita Phalloides, il fungo mortale. Gli altri membri della famiglia sono tutti morti.

Shirley Jackson, indiscussa signora del male,è stata in grado di creare un romanzo delicato come la pelle di un serpente, dove  il male non si identifica con il canonico cattivo, ma con turbamenti cuciti sulla pelle viva, in grado di confondere e annebbiare la mente, ci avvelena pagina dopo pagina, con piccole gocce di sospetto ben dosate, perché vuole farci arrivare fino alla fine, confusi e storditi, senza riuscire a comprendere il confine fra bene e male, follia e giudizio, senza sapere più chi sono i veri mostri.

Abbiamo sempre vissuto nel castello è un libro scritto da Shirley Jackson ed edito da Adelphi nel 2009

Vuoi leggere la trama? Clicca sul link

Merricat, disse Connie, tè e biscotti: presto vieni.

Fossi matta, sorellina, se ci vengo m’avveleni.

Merricat, disse Connie, non è ora di dormire?

In eterno, al cimitero, sottoterra giù a marcire!

Moby Dick o La balena. “Achab si guardi da Achab!”

Moby Dick o La balena. “Achab si guardi da Achab!”

Quando si pensa alla ricerca che porta alla vendetta personale non si può non pensare al libro che parla della grande Balena Bianca: Moby Dick o La Balena.

Ho deciso di affrontare questa lettura, troppo a lungo rimandata, con la versione che è la migliore in commercio: quella di Adelphi del 1994 con la prefazione di Cesare Pavese.

Questo libro è super citato e molto amato. Ne si ritrova la trama in molti film (Heart of The Sea) e in diverse serie tv (Una mamma per amica tra tutte).

Con una così grande pubblicità letteraria e mediatica mi aspettavo di trovare la grande Storia che avrebbe allietato la mia lettura e mi avrebbe travolto fino a piombarmi nel fondo dell’oceano.

Mi aspettavo, a mio torto, leggere Moby Dick nella versione facilitata per ragazzi.

Aaah quanto mi sbagliavo!!!

Mi è piaciuto Moby Dick? Ho proprio l’intenzione di parlarne con voi.

La caccia alla balena bianca del capitano Achab è piena di riferimenti biblici, a partire dal nome dei personaggi.

Ismaele è la voce narrante e porta il nome che era del figlio di Abramo.

Achab, Ahab in origine, è il capitano che conduce l’equipaggio verso la perdizione e uno dei sovrani della terra d’Israele.

Tutta la narrazione è una metafora sulla condizione dell’uomo, sull’insegnamento biblico ma Moby Dick è anche una fonte inesauribile di informazioni sul mondo delle baleniere e sull’industria che gravita attorno ad esso.

Una sorta di compendio per molti usi.

Herman Melville dedicò il volume a Nathaniel Hawthorne scrittore affermato e noto per La lettera Scarlatta. L’autore si auspicava di essere all’altezza del collega e possiamo pensare che ci sia più che riuscito, anche se al tempo della pubblicazione se ne accorsero davvero in pochi.

Moby Dick è l’emblema della grande caccia alla vendetta, la ricerca della redenzione ed è per la letteratura, senza dubbio alcuno, uno dei capolavori più acclamati.

Ma la domanda è: a me è piaciuto?

La realtà è che oltre alle considerazioni più che doverose, la lettura di Moby Dick mi ha fatto sorgere altre domande sulle possibili implicazioni della narrazione.

Ismaele è un povero diavolo, da sempre marinaio nella marina mercantile, che decide di imbarcarsi a Nantucket su di una baleniera armata da una cooperativa di mercanti.

Finisce con l’imbarcarsi sul Pequod.

Moby Dick

Il linguaggio e la cultura universale sfoggiata da questo marinaio, esattamente da dove proviene?

È ovvio che il libro fosse indirizzato a quella parte di popolazione che poteva permettersi un’istruzione e che avrebbe compreso i riferimenti ma Ismaele ne era davvero a conoscenza vista la sua estrazione sociale?

Quando il linguaggio della letteratura ha iniziato ad uniformarsi all’effettivo livello culturale dei suoi personaggi?

Con l’aumento della scolarizzazione?

E cosa sta succedendo al linguaggio della letteratura negli ultimi anni? Sta trascinando tutti verso un gorgo senza fine o sta trovando nuove strade?

Questi sono pensieri fuori tema, me ne rendo conto ma ho voluto farvene partecipi per rifletterci insieme. Sappiate che non esiste una risposta giusta e universale.

Potrebbe darsi che io non ci abbia capito molto ma ogni lettura è un’esperienza unica che si adatta al lettore e questa è la mia.

Torniamo a Moby Dick…

Esistono molti fraintendimenti su di chi fosse la nave. La nave apparteneva ad un gruppo di proprietari e non ad Achab che, invece, ne era unicamente il capitano e i suoi datori di lavoro lo pagavano per la caccia alle balene non per perseguire la sua vendetta contro la balena che gli era costata una gamba.

Ma anche lì, la perdita della gamba è avvenuta in concomitanza allo scontro con Moby Dick ma non era del tutto colpa sua se l’aveva persa. Achab era un marinaio di vecchio corso che aveva iniziato come ramponiere, non poteva davvero incolpare la balena bianca per tutti i suoi male e rischi del mestiere.

Ma quindi da cosa nasce questa ossessione così distruttiva?

Non coinvolse solo se stesso ma anche l’equipaggio. Una ciurma di uomini esperti ma terrorizzati e spaventati dalla follia del capitano, hanno anche provato a riportarlo sulla retta via ma, dopo un brevissimo tentennamento, la fine fu segnata da uno spruzzo e un dosso bianco.

Inoltre, non dimentichiamolo, i proprietari persero carico e nave. Non stiamo parlando della Marina con fondi dello Stato ma di Persone che avevano investito tutto in quella spedizione.

Posso dire che il libro di Melville mi sia piaciuto?

Si ma anche no. Infatti non lo posso considerare un mio Must Have perché la narrazione è più volte interrotta da capitoli che frenano lo scorrere dei fatti.

Sono consapevole che sia congeniale all’esperienza che il lettore deve vivere.

Ovvero, la discesa discontinua verso un abisso da cui non si può tornare, lo stillicidio ritmico ma di un sottofondo quasi insignificante che è il tramite narrativo che non permette a chi legge di avere la percezione dei momenti di lucidità dell’equipaggio e quelli di estraneità dalla realtà della vita del Pequod.

Il libro è lo stesso abisso di cui parla, questo è certo.

Scrittura magistrale e, oltre alla penna di Melville, riesco a sentire il Pavese che fortissimamente volle la pubblicazione in italiano di questo libro.

Mi è piaciuto molto del libro ma non molto il libro in sé e non posso spiegarmi meglio di così, spero che per voi lettori sia abbastanza.

Moby Dick

Vuoi leggere la trama di Moby Dick? Segui questo link!

Che Dio t’aiuti, vecchio: i tuoi pensieri hanno creato in te una creatura, e a colui che dal pensiero intenso ècosì trasformato in Prometeo, un avvoltoio divora il cuore per sempre, e quest’avvoltoio è la creatura stessa ch’egli ha creato.