Le puoi chiamare come vuoi, racconti, storie, fiabe o Fairy Tale, ad ogni modo sono quelle che, almeno una volta nella tua infanzia ti hanno fatto scrutare dentro l’armadio o nascondere sotto le lenzuola. A volte si scordano, altre volte si portano eternamente nel cuore. Mi domando se anche tu sei un viaggiatore fra i mondi, qualunque sia la tua età.
In Sardegna anticamente venivano raccontate attorno al fuoco dalla donna più anziana, si chiamavano contos de foghile. Nella mia isola, fra Janas, Surbiles, Cogas e creature liminali, di sicuro la notte c’erano battaglie da intraprendere e oscurità profonde da varcare.
Spesso le Fairy Tale rimangono incastrate fra le tele dei ricordi, altre volte sono vecchie amiche d’infanzia che appaiono, per lasciarci con lo sguardo sognante qualche istante di troppo. Avete presente quando qualcuno vi fa schioccare le dita davanti agli occhi perché scoperti a fissare il vuoto a lungo? Chissà quale mondo si cela dietro quel vuoto… Altre volte le fiabe non ci abbandonano mai e la sensazione è sempre quella di aver vissuto una grande avventura, di essere stati protagonisti di momenti unici e indimenticabili con la pelle e le ossa, oltre le pagine, oltre le parole.
Il biscotto di Alice o il tè col Cappellaio matto per me hanno costituito momenti strettamente connessi alla scoperta di possibilità creative oltre quelle terrene.
Fare amicizia con la propria testa, soprattutto quando si è piccoli porta a varcare cancelli il cui accesso sarebbe normalmente vietato, a visitare giardini mortali e danzare con creature dai contorni sfumati. E poi ancora le pagine sfogliate migliaia di volte, preoccupati di aver perso un passaggio o la chiave per l’altro regno. Quanto tempo ho trascorso nascosta nello sgabuzzino in compagnia di Bastiano Baldassarre Bucci. Arriva poi il grande maestro, il compagno di una fase più matura della vita, quella che richiede emozioni forti, che vuole brividi e notti insonni per arrivare all’ultima pagina: Stephen King.
Sono convinto che a volte sappiamo dove siamo diretti,
anche se non ce ne rendiamo conto.
Per me è impossibile non trovare uno stretto legame fra Charlie, il protagonista e la vita dello scrittore che, fin da piccolo si trovò a dover gestire le sofferenze dell’abbandono familiare e le difficoltà economiche.
Stephen King con Fairy Tale crea la favola dark, quella che molti di noi nostalgici aspettavano da tempo per creare il perfetto connubio fra brivido e desiderio di infanzia.
Un capanno, una botola verso un altro mondo ed un giovane eroe non apprezzato, sono elementi già visti in tanti racconti, l’abilità di Stephen King sta proprio nel saper tessere una tela unica su orditi già utilizzati. Fairy Tale è un lungo racconto che si concede meravigliosamente di pescare dentro le grandi fiabe, di ammantarle di oscurità e spesso di dolore, di trasformarle a tal punto da renderle bisognose di un nuovo eroe.
Quasi un gioco, o meglio ancora una danza macabra con le creature che ci hanno cresciuti.
Un ricordo prezioso,
di quelli che tiri fuori quando nessuno spende una parola gentile nei tuoi confronti,
e la vita sembra ispida come una fetta di pane raffermo.
E così con Fairy Tale mi sono ritrovata a ripercorre quel sentiero di emozioni che pensavo di aver ormai dimenticato. Ho scoperto invece di avere ancora delle briciole da lasciare nel terreno e che il mio stomaco languiva ancora per un pezzo di casa della strega.
Un tripudio di sensazioni quasi adolescenziali, quando si deve essere gli eroi della storia a tutti i costi perché questo mondo continua ad ignorarci, miste però alla disillusione .In Fairy Tale tutto può crollare da un momento all’altro, risucchiando per sempre tutto ciò che ci ha tenuti vivi.
Parlo al plurale perché so che qualcun altro sa perfettamente di cosa parlo e ha appena finito di combattere con un gigante o di cavalcare un drag
Banale? Forse, se restate in superficie, ma se avete voglia di lasciarvi trascinare dalla corrente oscura delle fiabe ancora una volta, allora leggete Fairy Tale.
Fairy Tale è stato candidato al British Book Award per la narrativa nel 2023.
C’era una volta, in un’antica città, un palazzo di cui si parlava in ogni angolo della Grecia. Si narrava che la sua regina avesse partorito un mostro; si raccontava che la figlia del re fosse scappata con uno straniero; si vociferava che la ragazza fosse stata abbandonata su di un’isola e qui l’avesse sposata un dio. La maledizione di Arianna parla di questo antico canto ma è molto di più.
La maledizione di Arianna non è il primo retelling sul mito della principessa Arianna di Creta.
Jennifer Saint in Arianna e Laura Shepperson in L’urlo di Fedra, anche se ovviamente la figura di Arianna è sullo sfondo della storia di Fedra, hanno dato un nuovo respiro a questo mito che parla di una principessa ribelle ma la sostanza del mito era rimasta piuttosto intatta.
Sara A. Benatti non solo decide di affrontare una storia che in molti conoscono per i motivi più vari ma decide di variare.
La maledizione di Arianna è il mito ma al contempo cambia rimanendo fedele a se stesso.
Di solito, quando si narra la storia della principessa cretese, l’azione si svolge nei luoghi del palazzo, al porto, le varie tappe del viaggio con Teseo e poi la storia d’amore con Dioniso.
Ad un certo punto, nella storia di Arianna c’è sempre il labirinto e il Minotauro ma, se escludiamo l’episodio del filo e dell’uccisione di del “mostro” partorito da Pasifae, l’opera di Dedalo e il suo ospite sono sempre sullo sfondo della questione.
È un po’ come parlare di Pompei dimenticandosi del ruolo svolto dal vulcano.
La Benatti, finalmente, usa quell’ambiente ristretto.
Il luogo che rappresenta il mondo, la reclusione, la crescita, la perdita e il ritrovamento e lo usa per narrare questa storia su molti livelli di narrazione.
La maledizione di Arianna è un romanzo dagli spazi stretti, di introspezione e di situazioni in cui non esiste lo spazio per il grigio.
La maledizione di Arianna è grado anche di mettere sullo stesso i suoi personaggi, non sono quelli resi famosi dal mito ma anche coloro che non parlano mai.
Non ci sono nobili, ci sono solo persone.
Non ci sono poveri o prigionieri politici, ci sono solo sacrifici.
E poi c’è Asterione.
Il diverso mandato ad essere il cattivo. Colui che non ha mai saputo come essere umana e ha conosciuto solo la madre.
La maledizione di Arianna è la storia della Bestia.
Non solo il minotauro ma la bestia che si annida dentro di noi.
È anche la scoperta della via per tornare ad essere umani, se si ha la forza ci cercarla.
Nel labirinto ci si può perdere ma ci può anche ritrovare.
E voi direte, ma che ne è di Nasso? Di Dioniso? Della loro storia d’amore?
Dioniso, nella storia di Arianna è sempre colui che si innamora, la divinità che una volta che si è stancata se ne va lasciando Arianna.
Dioniso è uno spirito libero ma è un labirinto lui stesso.
La maledizione di Arianna è in definitiva IL LABIRINTO.
L’autrice ha creato un gioco di tranelli che è difficile vedere.
Un gioco che non risparmierà nessuno.
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“Sono le storie il tessuto del mondo“, dice la dea. “Il minotauro che tu temi ne è solo uno degli attori, il nemico e il protagonista, l’assassino e il prigioniero. E ogni storia nutre la meraviglia del mondo e lo mantiene così vivo.“
Provate a non dormire, tentate di rimanere svegli per non dover affrontare il vostro terrore più tetro. Non sarà una cosa facile e finirete in una voragine di disperazione che scende sempre più giù verso la disperazione e l’estraneità dalla realtà. Prova a non dormire è una delle ultime opere di Manlio Castagna.
Prova a non dormire è speciale.
Tanto per iniziare esce il 31 ottobre 2023 pubblicato dalla Sperling & Kupfer che pubblica anche quel mostro (in senso reverenziale) di Stephen King; già per questi due elementi possiamo supporre che non sarà una lettura per deboli di cuore.
Vi ricordo che il titolo del libro è Prova a non dormire, vi sentite tranquilli ora?
Allora passerei a suggerirvi di osservare la copertina.
Non è uno spoiler dirvi che questo libro ha sfumature di altri generi, ha bene in evidenza il talento del suo autore per la regia cinematografica e la sceneggiatura e non fa nulla per celare l’amore per Il Re.
Ma c’è altro.
Prova a non dormire racconta un Orrore che si può comprendere ma al contempo si rifiuta.
Leggere queste pagine sarà come professava Nietzsche: Se insisti a guardare nell’abisso lui, prima o poi, guarderà in te.
Sarà come guardare il riflesso della propria anima in uno specchio spezzato e disperso sul pavimento.
Avete mai davvero guardato il vostro orrore in faccia?
Se lo fuggite, se lo negate vi distruggerà.
Baladine Bustamante, la protagonista di Prova a non dormire, conduce un podcast che si intitola De profundis.
De profùndis clamàvi ad te, Dòmine; Dòmine, exàudi vocem meam. Fiant àures tuae intendèntes in vocem deprecatiònis meae.
Nel suo programma Baladine parla di storie spaventose, di storie oscure.
Più sono tetre e più lei si lancia nelle profondità di un pozzo che non ha fondo.
Ogni storia, anche se Baladine non è pronta ad accettarlo, è un frammento di vetro che le trafigge la pelle e ogni taglio è un pezzo di anima che lei dona all’oblio.
È così facile abbandonarsi alla profondità del nulla, del lago nero che promette senza garanzie di donarti la pace.
In realtà la pace non esiste, non nell’oscurità, non nel fango in cui si è immersa Baladine.
Vi è mai capitato di sentir parlare di Vulcri? Un paese con un solo accesso e in cui sembra essere scoppiato una malattia che fa cadere le persone addormentate.
Conoscete il popolo etrusco? Affascinante civiltà che molto ha donato al mondo e di cui conosciamo molto meno di quello che si pensa di conoscere e quello che sappiamo deriva in gran parte dalle loro città dei morti.
Avete mai sentito parlare della sindrome di Cotard? Chi ne è affetto crede di essere morto.
Sapete cosa vuol dire perdersi e nel trovarsi finire per disperdersi e non poter più uscire dal bosco?
La storia di Vulcri affascina Baladine e la porta in questa cittadina a fare domande a cittadini reticenti.
È affascinata da questa storia perché molti dei suoi elementi toccano tasti del suo passato e tutto sembra una coincidenza, ogni pezzo che sembra parlare di lei la attira sempre di più nel voler conoscere cosa si cela dietro questo velo di omertà che anima la popolazione.
L’atmosfera del complotto la calvanizza, perché il fidanzato di suo fratello ha lasciato quello strano messaggio in segreteria?
Provate a non dormire, a disperdervi nell’orrore delle vostre peggiori paure e raccontatemi di Vulcri.
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Quando ho saputo che sarebbe uscito un altro romanzo sulla regina Clitemnestra di Micene, lo devo ammettere, la mia prima reazione è stata: ancora?
In un mercato piuttosto saturo di retelling di ogni genere, non è la prima volta che la regina di Micene fa capolino sugli scaffali delle librerie.
Ma, come capita, mi sono dovuta ricredere. Il retelling mitologico che prende il nome dalla famosa moglie del re Agamennone è, con ogni probabilità, la storia di Clitemnestra che stavamo aspettando.
Firmato da Costanza Casati, texana di nascita ma dal cuore italiano, ed edito per Sperling & Kupfer, Clitemnestra è un successo.
La narrazione narra della vita di Clitemnestra dalla sua infanzia al momento in cui, feroce come un’erinni, uccise suo marito con una scure.
È incredibile che le persone ricordino solo la furia con cui il re Agamennone, re dei popoli greci o almeno così gli piaceva farsi chiamare, è stato abbattuto come un albero secco.
Povero eroe, ucciso dalla moglie fedifraga proprio il giorno in cui tornava a casa dopo dieci anni di guerra e mentre si vantava di aver preso come concubina la sacerdotessa di Apollo più famosa della storia greca: Cassandra.
Ma cosa aveva scatenato quella furia?
No, Egisto non è colpevole di istigazione.
Clitemnestra non è donna che si faccia influenzare fino a quel punto dal belloccio di turno.
In comune avevano la sete di vendetta.
Per un uomo, si sa, la voglia di rivalsa è una questione di onore soprattutto se si parla di poemi epici.
Per una donna, non una qualunque in questo caso, è questione di giustizia.
Clitemnestra è una principessa spartana, è la sorella dei Dioscuri e anche di Elena moglie di Menelao e, a detta di molti, l’unica causa di tutta la distruzione che si abbattè sulle porte Scee che custodivano lo scrigno di Troia.
Anche se, ci tengo a dirvelo, non so davvero perché Menelao, che governava Sparta, si stupì così tanto di essere stato abbandonato dalla moglie.
Certo, Paride non ha onorato le leggi dell’ospitalità greca ma l’Atride minore avrebbe dovuto sapere che a Sparta una donna è legittimata ad abbandonare un marito se il nuovo pretendente è potenzialmente un arricchimento ai suoi possedimenti.
Troia era ben più ricca di Sparta e, senza Elena, Menelao teoricamente sarebbe stato il possessore di nulla.
Mi rendo conto che spiegato così è un po’ semplicistico, anche poco preciso e avrebbe bisogno di un approfondimento ma sono stanca di sentire: Elena è il problema.
Secondo voi, uno tsunami di 10000 navi greche sono arrivate ad abbattersi su Ilio solo perché la famigerata figlia di Leda e Zeus potesse tornare ad essere la mogliettina trofeo di Menelao?
Suvvia!
Torniamo a Clitemnestra.
Fu cresciuta per essere regina, fu istruita anche per essere una spartana ed era una guerriera di non poco talento.
Fiera, caparbia e intelligente non aveva nulla da invidiare a sua sorella.
Quando Agamennone decise che sarebbe stata la sua consorte, Clitemnestra era già sposata e aveva un figlio.
Beh, inutile dire che il figlio maggiore di Atreo non lo ha affatto considerato un problema insormontabile, li uccise e si prese la sua principessa.
L’autrice ci racconta del rapporto matrimoniale tra i due: lui non smetteva di cercare di sottometterla mentre lei scelse di aspettare il momento propizio per dargli quello che meritava.
L’episodio scatenante della furia incontenibile fu il “sacrificio” di Ifigenia.
Questa scena in particolare nel libro della Casati è l’essenza della tragedia greca epica. Tutti si muovono ma sono tutti fermi congelati nell’istante di un omicidio crudele di cui nemmeno Achille riesce a darsi spiegazione.
A Clitemnestra era stato portato via un figlio e l’amore una volta di troppo.
Questo è l’inizio della fine per il re che disse di aver abbattuto Troia ma che uccise se stesso.
L’autrice non ha cambiato molto della storia originale narrata dai grandi nomi del teatro greco. Anzi, gli aggiustamenti apportati sono funzionali alla storia e alla comprensione del punto di vista della protagonista.
Potete essere o meno d’accordo con la protagonista, non sta a voi giudicarla.
A lei non interessa affatto il vostro parere.
Chiamatela mostro se così vi piace, ma voi cosa avreste fatto se foste stati al suo posto?
Volete leggere la trama di Clitemnestra? Allora dovete schiacciare la parola LINK!
Clitemnestra aveva infranto la sua coppa contro il muro. Era rimasta immobile mentre uno schiavo era accorso ad asciugare il vino sparso per terra. gli ospiti l’avevano fissata, ammutoliti.
Lei aveva guardato suo padre negli occhi: “Prima o poi morirai. E io non ti piangerò. Guarderò le fiamme consumare il tuo corpo ed esulterò”.
Questo 2023 inizia con un’antologia: Willie lo strambo e altre storie della collana Macabre edita da Sperling & Kupfer.
Vi piacciono i racconti?
A me molto ma non sempre amo le antologie nel loro insieme.
Ogni anno aspetto le mie due preferite di cui vi parlerò a breve (piccolo spoiler? Andate a dare un’occhiata al sito dell’associazione RilL) e se ho fortuna, come in questo caso, me ne capitano tra le mani un altro paio di eloquente magnificenza.
Perché mi piacciono le antologie come Willie lo strambo?
È presto detto: mi permettono di scoprire scrittori che non avevo ancora avuto il piacere di leggere e di innamorarmi di autori che conosco in altri generi letterari ma di cui non avevo avuto modo di apprezzare i lati nascosti.
Questa antologia ospita penne che conoscete tutti bene, solo che non sapete ancora di cosa sono capaci quando assecondano il loro lato “oscuro”.
A legare i racconti di Willie lo strambo è l’Inquietudine e ad aiutarla c’è anche la Paura.
Non quella paura che vi fa temere le ombre nelle cantine e nemmeno quella che vi ammantata di terrore quando i personaggi iniziano a morire in situazioni che sono il cliché della letteratura horror.
La paura e l’inquietudine di cui vi parlo sono quelle viscerali, quelle inspiegabile, quelle che vivono nelle pieghe della vita di tutti i giorni e a cui non sapete dare un nome.
I movimenti al margine del campo visivo, i dèjà vu, l’irrazionalità dell’inspiegabile, la banalità di una frase lasciata cadere in una conversazione e nel comportamento non comune di un parente…
Esatto, vi immagino mentre leggete e so che sapete di cosa sto parlando: piccoli e semplici episodi che sono in grado di innescare la follia.
Io ho paura dei tombini, dei palloncini rossi.
Posso dare la colpa è di uno dei signori qui presenti. Anche se forse lui ha solo scatenato qualcosa che mi viene dal profondo.
Probabilmente mi serve un bravo psichiatra ma non è questo il punto.
Guarda caso l’autore di cui vi parlo ha vergato il racconto che guida e dona il titolo all’antologia.
Non ha bisogno di presentazioni ed è il maestro di questo genere di storie.
Ovviamente parlo di Stephen King.
Il signor King dorme bene? Me lo chiedo da anni. Sicuramente meglio di me che leggo avidamente i suoi scritti e poi ho il terrore della vecchietta che casualmente ha un Impermeabile giallo appeso fuori.
Sono le cose banali a diventare il Male.
Ma dopo Willie lo strambo?
Miei lettori, lettrici e tutti coloro che hanno la pazienza di leggermi, ho scoperto che io sospettavo della vecchietta della porta accanto ma non avevo affatto intuito che l’altro vicino di casa (anche se non in maniera letterale), che conoscevo come saggista, ha una vena nera che gli scorre nella penna.
Eraldo Baldini, per una ravennate, è una sorta di istituzione e ora so che anche lui vede le case abbandonate nella stessa maniera in cui le guardo io.
Il viaggio di un ispettore in una vallata può diventare l’insopprimibile pensiero fisso in un intero arco vitale e al contempo dare una prospettiva nuova anche alla selva dantesca, ci avevate mai pensato?
Ai confini del reale di solito troviamo le storie di Dylan Dog e anche la penna di Paola Barbato…ma se la sua penna vi raccontasse di un personaggio innocuo e quasi invisibile nella nostra vita frenetica?
Sapete, quel genere di persona che non sarebbe un pericolo nemmeno per una mosca. Esatto, proprio quello che stamattina ha raccolto i fazzoletti o le chiavi che vi erano caduti e ve le ha restituite augurandovi buona giornata.
Chi è? Ve lo siete chiesto?
Delle volte non c’è bisogno di trovarsi in un vicolo oscuro per carpire una dissonanza nella pace.
“Mio fratello” parla di amore ed è il racconto di Antonella Lattanzi. La famiglia non è una scelta e può capitare che con un fratello si senta un’affinità elettiva che travalica qualsiasi senso logico.
Lo sapete che qualcosa non va, conoscete la profondità di quell’abisso di desolazione che è un po’ anche vostro ma…come in uno specchio, se voi non avete il coraggio di saltare nel buco, il vostro riflesso invece ce l’ha ed è capace di tutto vestendo solo un sorriso e l’abisso.
È difficile parlarvi di Willie lo strambo e altre storie!
Tutti i racconti mi hanno distrutto l’anima perché sono l’alter ego del mio sentire e non so se esserne spaventata.
Chi non conosce Loredana Lipperini deve porre rimedio. Ho avuto un’illuminazione sulla via di Damasco quando mi è saltato tra le mani il primo libro suo che io abbia mai letto e poi ho deciso che dovevo convertire tutti alla sua scrittura.
Loredana Lipperini è tante cose ma soprattutto vive d’immenso e il suo racconto buca le certezze che ognuno ha della vita.
A me capita, non sempre ma succede, di non avere la cognizione esatta di cosa mi stia spaventando in una sequela di coincidenze al limite della candid camera. Capirlo a volte può essere la vostra salvezza e credetemi, piuttosto che trovarmi al posto di questa protagonista preferisco di gran lunga i fantasmi di Scrooge.
Seguono un racconto di Marco Peano che vi farà rivalutare il disagio verso gli allarmi che suonano per i motivi più disparati. Potrebbe capitare che uno di questi sia il proverbiale gommone mandato per salvarvi.
Sapete quale penna è davvero stata una rivelazione per me in questa antologia?
Sì, lo so. Tutti conoscete il suo talento e la apprezzate per i suoi libri che narrano di donne forti come le montagne, io avevo bisogno di una spinta in più.
E la scossa di cui avevo bisogno si intitola “Scura come la notte“.
Vari temi sono stati affrontati in queste pagine: la discriminazione razziale, la violenza di genere in un culture diverse dalla nostra, la voglia di essere più che un numero nel conteggio umano e a condire tutto questo c’è l’ignoto, la scienza e l’universo oscuro e meraviglioso.
Dovete proprio leggerlo.
Se non volete ascoltare me, ascoltate Galileo. Lui lo sapeva prima di tutti noi.
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