Le streghe di Manningtree.Il Demonio non ha il volto di donna.

Le streghe di Manningtree.Il Demonio non ha il volto di donna.

Cari lettori, abbiamo già viaggiato nel 1600, ma questa volta vi assicuro che farete fatica a staccarvi di dosso l’odore del sangue de Le streghe di Manningtree.

Ancora un romanzo che parla di streghe?

Ebbene si, non mi stancherò mai di leggere i racconti di altre sorelle che hanno dovuto lottare per un briciolo di libertà. Questo racconto in particolare però lascia un solco profondo nella pelle. Ho terminato la lettura da diversi giorni e soltanto ora mi sono imposta di scrivere, come se compiendo questo gesto lasciassi andare il profondo disagio nel quale mi aveva portato.
Le parole non sono un semplice susseguirsi di lettere, se sono in grado si trascinarti dentro la pozza fetida delle manipolazioni degli uomini. Quando poi esse sono dirette magistralmente da una mano abile come quella di Blakemore, allora ammetto di essermi lasciata soggiogare con grande piacere, anche se l’incantesimo è stato uno dei peggiori incubi della storia dell’umanità.

Dai troppo ascolto ai pettegolezzi, coniglietto.

Strega è l’offesa che affibbiano a chiunque faccia succedere le cose,

a chiunque porti avanti una storia.


Non è stata soltanto una lettura, ma piuttosto un marchio a fuoco, una brutale presa di coscienza, una discesa nei meandri della crudeltà umana. Perché quando si parla di streghe si parla di donne, e quando si parla di inquisizione si parla di abuso efferato del potere maschile, col tentativo di circoscrivere la conoscenza e plasmare a proprio piacimento la volontà delle donne.


Sfruttate, povere e ignoranti, ecco le streghe di Manningtree .

Ovviamente stiamo parlando di una categoria ben specifica di donne. Se sono maritate, serve del proprio uomo e della chiesa, se non alzano mai il capo, se non mostrano un lembo di pelle e non sono minimamente curiose e intraprendenti, allora potrebbero passare indenni allo sguardo torvo e attento dell’inquisitore.

Ma diciamola tutta, e in questo romanzo vi assicuro che la realtà non viene minimamente abbellita, sotto le mire degli inquisitori ci sono le donne a cui la vita non ha donato gli strumenti giusti per proteggersi. Vedove, orfane, povere e costrette ad arrangiarsi e a patire la fame.

Poi c’è il mistero, filo conduttore di questo romanzo. Quello che non lascia fuori il Demonio da nessuna pagina del libro. Il Demonio delle danze orgiastiche e dei sabba? Può darsi, niente lo esclude e le povere reiette sotto tortura lo ammettono, ma c’è un demonio senza zoccoli, vestito di rigore e saccenza, che al posto di forconi ha dita puntate e forche pronte ad accogliere corpi esili. Un demonio subdolo che si insinua nelle menti dei semplici, instillando diffidenza verso chi cammina nell’ombra, vergognandosi magari del proprio abito sudicio, o verso chi sorride apertamente, vittima di un corpo di donna in un cuore di bambina.

Sono loro la causa della carestia! sono le streghe di Manningtree!

Perché si è visto un gatto a macchie saltare alla vostra finestra

Perché i vostri piselli continuano a fiorire anche se sono stati devastati dai temporali?


Potremo trovarci in qualsiasi luogo del mondo e, a dirla tutta anche in qualsiasi tempo, vista la brutalità con cui ancora le donne vengono uccise, ma il romanzo è ambientato nella contea dell’Essex fra il 1644 e il 1647.
I personaggi sono meravigliosi e le vicende del paese sono raccontate con una cura e un’attenzione tali da poter quasi camminare nelle vie maleodoranti. Persino il freddo pare penetrare la nostra pelle.

Non mi dilungherò a raccontare gli eventi, ma vorrei soffermarmi un secondo su un personaggio scomodo: la Beldam West. Ecco la strega, la donna che non si nasconde, che non maschera le emozioni con un sorriso ma che, con un ghigno sbeffeggiante si prende gioco di chiunque. Ecco la donna contro cui tutti punteranno il dito e contro i quali lei sputerà, temuta e odiata; splendidamente guerriera. La Beldam è l’emblema della donna che reagisce con tutte le sue forze perchè non accetta le imposizioni. E’ in grado però di amare visceralmente la figlia per la quale sarà pronta a tutto.

Poiché non hai servito l’Eterno, il tuo Dio,

con gioia e allegrezza di cuore per l’abbondanza in ogni cosa,

servirai i tuoi nemici che l’Eterno manderà contro di te,

in mezzo alla fame, alla sete,alla nudità e alla mancanza di ogni cosa;

ed egli metterà un giogo di ferro sul tuo collo, finché non ti abbia distrutto.

E se per caso vorrete proteggere le vostre anime raccontandovi che è solo un romanzo, sappiate che i fatti sulle streghe di Manningtree sono tratti da una storia veramente accaduta e che l’autrice ha fatto numerose ricerche prima di scrivere questo libro.
Non vi consiglio soltanto di leggerlo, ma di viverlo.

Le streghe di Manningtree

Ringrazio la casa editrice Fazi per avermi dato la possibilità di leggere questo libro in anteprima.

Leggi la trama

A proposito di streghe:

La strega di Triora

Weyward

Mi sento graziosa come un animale alato, come una donna amata da Satana.

Ma essere amata da Dio è meglio, perché in tal caso i sentimenti non contano. L’amore di Dio sbaraglia i sentimenti. Così scrivono gli uomini brutti

– quelli che pensano di essere stati forgiati da nessun altro genere di amore se non quello divino- nei loro libri.

Questi sono i miei pensieri.

Vorrei tutto, non sono degna di niente.

Parole d’altro genere. L’importanza della letteratura femminile

Parole d’altro genere. L’importanza della letteratura femminile

Cari viaggiatori, quello di cui vi voglio parlare oggi è un viaggio molto atteso, attraverso l’universo della parola scritta, tutta al femminile: Parole d’altro genere. Come le scrittrici hanno cambiato il mondo. A cura di Vera Gheno.

Vi parlo di “viaggio tanto atteso” non perché si tratta di un libro originale, ma per la maestria e la serietà con cui esso è scritto.


Diciamo che in questi ultimi anni le raccolte di autrici pullulano all’interno del mercato editoriale.
Ne troviamo di tutte le salse e, a dire il vero, trovo che facciano tutte il giusto lavoro di conoscenza e divulgazione che troppo spesso è stato volontariamente omesso.


C’è però una parte importante del libro che credo vada particolarmente presa in considerazione: tutti i discorsi che vengono fatti intorno alla vita, alle opere o a determinati scritti citati nel libro.


E in questo Vera Gheno eccelle.

Se sei una scrittrice,

prima o poi,

da qualche parte, ti chiederanno:

“ Ti consideri prima una scrittrice o una donna?”.

Attenzione. Chi lo chiede odia e teme sia la scrittura che le donne.

Margaret Atwood

Per chi ancora non la conosce, Vera Gheno è una sociolinguista, specializzata in comunicazione digitale, ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca. Insegna all’università di Firenze ed è una Donna Femminista intersezionale.


Parole d’altro genere non si limita alla mera elencazione e presentazione di scrittrici passate. Con grande originalità si sofferma sul modo in cui queste donne sono riuscite a lasciare il segno, soprattutto dentro il nostro modo di pensare.

La diversità, ci racconta nell’introduzione, è la parola chiave del libro.

Infatti l’autrice cerca di diversificare riguardo la cultura, le etnie, ma anche le disabilità.


Vera Gheno assegna ad ognuna di loro una parola che in qualche modo ci indica la strada verso la scoperta del pensiero dell’autrice.


Una carrellata di scrittrici mirabilmente precedute da un lemma e dal pensiero dell’autrice.

Termina poi con una serie di preziosissimi consigli di lettura contemporanei. Uno spazio interessantissimo per chi desidera ampliare la propria conoscenza.

Ed è nello spirito della sorellanza che ho affrontato la costruzione di questo libro,

che adesso non attende altro che di essere letto.

Saffo, Sulpicia, Chiara d’assisi, Mary Wollstonecraft, Matilde Serao, insieme a molte altre vi delizieranno con i loro pensieri controcorrente.


Non mi dilungherò volutamente su di loro perché non vorrei rischiare di svelare troppo, proprio perché val la pena prendersi del tempo, magari ogni giorno, per leggere ciò che questo libro ci propone su ciascuna.


Sono pagine pungenti ed interessanti quelle che troviamo in Parole d’altro genere.

Esplorano il mondo femminile in ogni epoca e cercano di sfondare a colpi di parole i muri imposti dal patriarcato


Non dovremo dimenticare mai che queste scrittrici sono state volutamente messe in disparte.

Oscurate da una letteratura maschile che ha dominato soprattutto all’interno dei testi scolastici, precludendo ai giovani la possibilità di godere di nuove forme di pensiero.


E’ il momento di diventare ponte verso una più ampia conoscenza e di dare alle parole di queste autrici il posto che meritano.

Lo scopo è quello di riuscire a riscrivere il passato e di offrire un nuovo futuro con una prospettiva di possibilità più ampia.


Vera Gheno compie un prezioso lavoro di ricerca e riesce a dare voce a donne che per troppo tempo sono state messe a tacere. Invece sono esistite, hanno scritto, lottato e rischiato.


Parole d’altro genere le riporta alla luce, le colloca nel giusto posto e ci dona uno strumento prezioso per osservare il passato con un grandangolo, non un cambio di prospettiva ma un ampliamento; quello che poi ci darà la capacità di scelte diversificate per il futuro.

se vuoi conoscere la trama clicca qui

Parole d'altro genere

Il giorno che morirò, la notizia

dovrà seguire le pratiche consuete,

e di ufficio in ufficio attentamente

in tutti i registri verrà cercata.

E là, molto lontano, in un villaggio

dormiente al sole in cima alla montagna,

sul mio nome, in un vecchio registro,

una mano ignota traccerà una riga.

Alfonsina Storni

Una minima infelicità. Meraviglioso, ossessivo e spiazzante racconto dell’amore di una figlia.

Una minima infelicità. Meraviglioso, ossessivo e spiazzante racconto dell’amore di una figlia.

Ecco il libro che ha segnato le scelte letterarie di questi primi mesi del 2023: Una minima infelicità.
Ci si può innamorare follemente di un libro?

Certamente. L’ho letto il primo giorno di questo nuovo anno e ci ho messo quasi due mesi per digerirlo, per questo pubblico la mia recensione soltanto adesso.


Le emozioni non rispettano il calendario, a volte si sente il bisogno di esternare immediatamente, nel timore che esse sfuggano via come la sabbia tra le dita e siano difficili da ritrovare attraverso il tumulto emotivo quotidiano.


Altre volte invece si insinuano sotto la pelle e strisciano in profondità, come una spina dolorosa che si fa spazio lentamente e ha bisogno di tempo prima di essere espulsa.


Questo è l’effetto che ha provocato in me Una minima infelicità: un libro dolorosamente perfetto.

Perfetto a partire dalla copertina, dolce e insignificante solo all’apparenza, a riprova che questo è un libro per chi non ha fretta.


Se ti prendi il tempo per osservarla noterai occhi profondi, duri e velati da una tristezza eterna.

Occhi che si mescolano ai gesti quotidiani del caffè al mattino, del maglione che pizzica, della vita che scorre silenziosa e inesorabile.


Infatti Annetta è proprio così: silenzioso personaggio che nessuno guarda veramente, lei per me è la portavoce della categoria degli anonimi, di tutte quelle persone che al primo sguardo non degneresti di una minima attenzione eppure …


Annetta è tanto, è un microcosmo racchiuso in un piccolo, esile corpo che si rifiuta di crescere, è il silenzio di chi dentro di sé nutre un amore sconfinato e si accontenta di raggiungere anche solo l’ombra della sua mamma amata, di sentire il suo fiato la notte
.

Imparai negli anni a stare come una cosa piccola e morta sotto gli occhi immobili di mia madre.

La più piccola e morta di tutte le cose.

In realtà lei non desidera altro: non dare fastidio pur di starle accanto.

Al contrario Sofia Vivier, sua madre, è tanto grande e luminosa agli occhi del modo, bella e vivace, circondata da una luce che però non riesce a celare la sua tristezza.

Sofia è infatti creatrice di una vita che la fagociterà pian piano, lasciando un guscio vuoto che Anna non smetterà mai di amare.


Le foto di momenti della sua vita scorrono fra le pagine e i ricordi si confondono alle emozioni.

In questa, una donna che non conosco guarda in basso,

verso di me.

E i miei occhi sembrano dire: dove sei mamma?

Che senso ha questo tormento?

Annetta non sa espandersi in questo mondo anzi, preferisce rimpicciolirsi, ridurre i suoi spazi, limitare il suo orizzonte, vivere assaggi della vita degli altri e quando gli altri scompaiono diventare sempre meno, fino a ridursi al nocciolo, fino a diventare fine.


Un nocciolo che ha racchiuso in se la perfezione, ho amato Annetta e la sua nonna che danzava senza pudore, forse perché in cuor mio, amo profondamente chi sa essere puro, senza corruzione esterna, senza lasciarsi influenzare dal mondo che ci vuole tutti simili, performanti, in continua competizione e scalata verso il successo.


Non ci sono scalate per Anna, ma un sottoscala nel quale si può essere autentici nel proprio immenso, perfetto universo.


Carmen Verde con Una minima infelicità ha creato una meravigliosa opera, ciò che ho amato follemente ( come se non bastasse l’amore viscerale che ho provato per questa storia) è la scelta di uno stile narrativo privo di fronzoli, estremamente diretto e curato anche nel mostrarci “la rinuncia sulla pagina”.


Questo è il suo libro di esordio, mi aspetto veramente tanto dal genio di questa scrittrice.

Una minima infelicità è candidato al Premio Strega, qui le motivazioni.
Io faccio il tifo per lei!

Clicca qui per leggere la trama

Se sei interessato a recensioni di libri che trattano dinamiche familiari, ti invito a leggere queste:

Del nostro meglio di Carmela Scotti

Nuoto libero di Julie Otsuka

Baci all’inferno di Ariana Harwicz

Lasciate che i giaggioli siano gialli,

che gli iris siano azzurri,

che i piccoli restino piccoli per l’eternità.

 

Il canto di mr. Dickens. Fra Natale e valori immortali

Il canto di mr. Dickens. Fra Natale e valori immortali

Ostinati viaggiatori invernali, indomiti pionieri determinati a scoprire mondi anche nel periodo più rigido dell’anno, oggi vi accompagno nella Londra del 1843, dentro un racconto che parla del grande racconto di Natale : Il canto di mr. Dickens.


Non è facile entrare nel clima delle feste, almeno per me, occorre sempre un grande sforzo fisico e mentale.

Le luci mi abbagliano, così come l’eccessiva opulenza e il bisogno di trasformare un sentimento in un oggetto da donare. Tutto questo mi trascina dentro un vortice di disgusto dal quale sopravvivo solo grazie ad un sano distacco.


Allora mi trasformo nel vuoto, mentre tutto attorno a me si sforza di essere bello, luccicante e stucchevole.

Avevo bisogno di questo libro, di una lacrima sincera sotto le coperte, di un pensiero che mi accompagna fino al sonno e anche oltre.

Ho ritrovato un senso da dare a questo vortice confusionario grazie a Dickens e a Samantha Silva.


Ti sei rammollita Fra, mi sono detta più volte, ma la verità è che le atmosfere uggiose unite alle carrozze che sfrecciano nelle strade, il profumo del pane fresco e i bimbi che cercano di rubarne un pezzo, mi appartengono.

Ovviamente non ho duecento anni, ma il soffio di quei racconti eterni ed indimenticabili sono ricamati nel mio cuore di bambina e ancora oggi riescono a condizionare la mia visione del Natale.


Avevo tanti dubbi sulla scelta di questo libro e molta paura che la pretesa di voler raccontare la nascita di un capolavoro come A Christmas Carol fosse un’impresa troppo grande.


Invece Il canto di mr. Dickens mi ha saziato completamente ed immerso nell’unica atmosfera in cui avevo voglia di stare : la Londra umida e fangosa, quella dell’alta borghesia fatta di belletti e vizi, e quella di chi guarda da dietro le vetrine, sperando di riempire la pancia solo con sguardo, dei poveri signor nessuno affamati e senza voce.


Incontriamo un Dickens infelice e irrequieto, per niente pronto ad affrontare i bagordi natalizi.

Tante cose non vanno bene nella sua vita ed una sorta di inquietudine gli scorre sottopelle impedendogli di apprezzare le gioie che ha intorno.
I preparativi a Devonshire Terrace fervono, i suoi figli hanno lunghe liste di regali, i parenti bussano alla sua porta in continuazione con richieste o proposte che lui non “dovrebbe proprio farsi scappare”.

Ogni anno la stessa messa in scena che si ripete, ma questa volta qualcosa non va, The Life and Adventures of Martin Chuzzlewit non sta vendendo bene; forse un racconto di Natale potrebbe risollevare le sorti e riportare Dickens alla gloria che ora pare perduta, almeno così suggeriscono i suoi affamati editori.


Per un animo irrequieto come lui però, non è possibile affrontare un nuovo racconto senza prima scavare dentro la sua vita e ritornare nuovamente a credere.

Dickens conosceva benissimo quel trucco , ma sorrise ugualmente,

e non perché fosse eseguito con particolare maestria

– anzi, vi aveva colto una certa goffaggine-

ma per la verità di fondo di ogni spettacolo di magia, di ogni storia inventata, di ogni bugia:

il nostro grande bisogno di credere.

Per poter ritornare a credere in se stesso egli dovrà ripercorrere alcune tappe fondamentali della sua vita per risanarne le ferite e cercare di conservarne il più prezioso dei ricordi.


Eleanor Lovejoy, col suo mantello viola e il viso bianco e luminoso , lo accompagnerà nel suo cammino, con parole delicate ma mai illusorie gli donerà un nuovo sguardo su quel mondo che ora gli appare tanto superficiale.

Lovejoy, un cognome emblematico quanto tutti i personaggi di Dickens, Eleanor silenziosa come i primi fiocchi di neve gli farà aprire gli occhi verso il suo passato e lo preparerà al Natale presente.

“Che male potrà mai fare un fantasma?”

aveva chiesto lei, proprio in quella stanza.

Ma non si trattava affatto di una domanda.

Quella era la risposta.

I fantasmi ne Il canto di mr. Dickens hanno molti volti, si celano nelle sofferenze dell’infanzia, nella continua paura che le persone abbiano verso di lui sempre lo stesso scopo, si nascondono nei suoi stessi limiti e saranno proprio loro a suggerirgli il racconto .

“Alla fine credo davvero che il Natale inizi nel cuore”

La riscoperta del vero senso del Natale potrebbe apparire qualcosa di scontato, ma a me è sembrata una nuova scoperta, una rilettura con nuovi occhi :


Il grande dono del Natale è l’amore, ma per poterlo ricevere occorre saperlo donare.


Voglio ricordare un’ultima volta gli occhi del piccolo Timoty e la sua manina tesa per prendere quella di Dickens e continuare a credere nelle possibilità della vita, un’immagine che conserverò illibata dalla frenesia dei giorni che stanno per arrivare, in quell’angolo di cuore che desidera solo ispirazione e silenzio.
Buon Natale, qualunque cosa significhi per voi.

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