La trama di Elena. L’Ananke, figlia di Leda e Némesi, che accese le porte di Troia

La trama di Elena. L’Ananke, figlia di Leda e Némesi, che accese le porte di Troia

Questa è una storia dalle molte facce. È più antica delle storie che vengono narrate da uomini nei testi sacri alla nostra civiltà. È una storia che è stata un’eco ma anche la tragedia più cruenta. Un mito cantato da Aedi, uno su tutti: Omero, il cantore dalle molteplici voci. Le parole dell’Iliade soffiano vento sull’ira di Achille ma non è la trame del Pelide ad aver portato tutti lì. Tutti sono davanti alle porte oblique e sinistre di Troia per La trama di Elena.

Elena, elénaus, elandros, eléptolis.

La distruttrice di navi, di uomini e di città.

Francesca Sensini è la portavoce de La trama di Elena.

Mi piace definirla così perché il libro reca il suo nome come l’Iliade reca quello di Omero nel posto che si consegna agli autori ma è Elena a parlare.

Ho letto molto sulla guerra di Troia e ogni testo mi ha sorpreso, conquistato o delusa.

Ci sono dei personaggi, specialmente quelli femminili, soprattutto negli ultimi anni, su cui sono molto prevenuta.

Perché?

È facile chiamare in causa nomi come Briseide, Cassandra e Elena ma non è intenzione di tutti dare un corpo e uno spessore al personaggio in questione.

Non tutti sono disposti a onorare il mito e gli aedi, anzi in molti l’unico desiderio è dare voce all’ego dello scrittore ammantandosi di vaticini improbabili, trame ordite a metà e prigionie che ricordano le favole Disney.

Ho letto un saggio, qualche tempo fa, che mi ha regalato una Elena reale e immaginata ma non mi aspettato che sarebbe arrivata un’autrice a dare ulteriore spessore alla donna che diede fuoco ad Ilio.

La trama di Elena discolpa la donna più bella e odiata al mondo.

Non è un libro che vuole renderla più simpatica a chi ha scelto di odiarla e l’ha additata come l’artefice di tutte le sventure di cui le donne, da lei in poi, vengono additate e per questo condannate.

Anzi, Elena è pronta a prendersi ogni colpa.

Ogni ingiuria.

Ogni epiteto.

È pronta ad immolarsi se questo è utile e necessario.

Ma non lo farà in silenzio.

Sa benissimo che starete a sentire le sue parole, la sua voce arriva dalle profondità del tempo ed era lì ben prima di Lilith, ben prima di ogni altra donna e di tutte lei è anima e corpo, una parte del suo eco vive in tutte noi.

Se è bastato il suo nome ad imbonire un esercito di diecimila navi e la sua voce a farsi amare da una città assediata, chi siete voi per resisterle?

Quasi sembra strano che Ulisse abbia avuto bisogno di essere legato e privato dell’udito per non cadere vittima delle sirene, aveva ascoltato la voce di dee prima di loro e ne era stato ammaliato come tutti.

La trama di Elena è un arazzo tessuto tra i secoli.

La figlia di Zeus, di Leda e di Nèmesi è davanti a voi, fila un arazzo di immagini contemporanee alla sua vita ma anche scene che la catturano nei secoli a lei posteriori.

Vi è mai capitato di osservare un quadro e sentire le voci e i rumori della narrazione?

Questo è La trama di Elena: l’incantesimo della donna più bella e odiata del mondo.

Un coro di voci di cui solo lei è in grado di riprodurre il suono e non potrete fare a meno di starla a sentire.

Non ci riuscì Euripide, non ci riuscì Filostrato e nemmeno le popolazioni indigene delle Hawaii, voi comuni mortali sarete in grado di resisterle?

Io non credo.

La narrazione della Sensini è poetica come un canto di gioia e dolore ed è perentoria come un invito alla guerra.

Coercitiva come la discordia ed ineluttabile come la giustizia.

Ci sono tanti passaggi che vorrei lasciare a piè di pagina per voi lettori ma non mi è possibile metterle tutte. Farei un torto ad Elena se scegliessi qualcosa e pretendessi che questo con influenzi anche voi.

Mi limito a credere che quella che scriverò sia più adatta a quello che l’autrice ed Elena hanno cercato di nascondere tra le righe come monito a voi che leggete le sue parole.

Elena è la fiaccola che diede fuoco al cancello protetto dal baluardo che nessuno ascoltava.

Un incendio di fuoco greco che rischiara le epoche e che nessuno ha ancora compreso come spegnere.

La trama di Elena

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Adottano così liberamente la menzogna, ne hanno bisogno, come l’architrave la colonna, per non frantumarsi su se stessi.

Il secondo piano. una storia di ebrei, suore, coraggio e carità

Il secondo piano. una storia di ebrei, suore, coraggio e carità

27 gennaio, il giorno in cui si prendono le vanghe e si riesuma il ricordo delle trincee, delle fosse comuni, dei corpi lacerati, affamati, abusati; ma Il Secondo piano di un monastero conserva ancora la luce della speranza.


Un giorno che non può, non deve essere solo un giorno, ma si sa, per convenzione e comodità occorre attribuirgli una data.


Proprio il 27 gennaio del 1945 le truppe dell’armata rossa arrivarono nella città polacca di Oświęcim, per primi a liberare i pochi superstiti.


In tedesco Oświęcim si chiama Auschwitz, loro furono i primi a venire a conoscenza dell’orrore del genocidio nazista.


Tra le vie del ghetto di questi fatti non si aveva la certezza, ma durante l’ultimo shabbat prima dello sgombero le famiglie avevano un freddo più intenso, misto a paura di qualcosa che non conoscevano completamente.


Dicono che stanno arrivando-

E sono arrivati con tutta la loro devastazione.


Alcuni sono stati informati prima e si sono nascosti nelle campagne, gli altri sono stati spinti a forza dentro le camionette.
Urla, percosse, terrore nella notte.
Smarrimento.

Il secondo piano è quello di un monastero di suore francescane votate alla carità.


Le finestre del secondo piano sono chiuse,

-C’è disordine dicono- ,
ma anche quando il sole splende arrogante fra le bombe, non riesce ad entrare nel Secondo piano.


Le sorelle fanno la carità in ogni modo possibile, in tempo di guerra, con le strade vuote e soltanto persone nascoste negli angoli più bui, loro affrontano le guardie tedesche.


Dentro il monastero di via Poggio Moiano le notizie arrivano filtrate dal parroco della chiesa accanto e le preghiere alla Vergine si innalzano sempre più accorate affinché possano arrivare i giorni di pace.


Non ci sono solo preghiere nel monastero dove Madre Ignazia è la Badessa.

Il pane basta appena, viene diviso in pezzi piccoli, sempre più piccoli, a volte viene cosparso da un velo di marmellata, quella che doveva essere barattata con le uova, per rendere felice chi, a mala pena, riesce a stare in silenzio.


C’è solo una scala a separarli dalla guerra, dei gradini che sono garanzia di sopravvivenza a costo di sacrifici.


In situazioni di emergenza ci sono scelte importanti da fare, di comune accordo le regole si possono trasgredire in virtù dell’umanità e del sostegno reciproco.


I ritmi della vita del monastero si discostano minimamente da quelli usuali: preghiera, lavoro, cura dell’orto e del giardino, ancora preghiera,cura dell’altare, ricamo;

e poi ci sono le scale del secondo piano che vengono calpestate spesso, ma senza dare nell’occhio.

I romanzi che parlano di questo periodo storico sono spesso caratterizzati da molta violenza, Ritanna Armeni sceglie di dedicarsi ad un altro aspetto, più nascosto, anzi quasi invisibile: i rapporti umani.


In un periodo in cui non c’era tempo per i sentimentalismi perché bisognava cercare di salvare la pelle, ci sono piccoli mondi, in questo caso al femminile, dove la priorità è quella di sostenersi e sostenere chi è perseguitato.


Un romanzo dai toni delicati, per quanto lo si può essere in tempo di guerra, parole che sembrano entrare in punta di piedi e con discrezione dentro un luogo sacro, che raccontano di scelte di vita, di sacrifici compiuti con gioia, anche a costo della propria vita.


Ritanna Armeni scrive uno splendido romanzo fatto di coraggio e silenzio, fatto di fede vera, quella che vede Dio negli occhi delle persone e non solo nelle statue degli altari.

Un romanzo di sostegno femminile.

Un consiglio, non trascurate la postfazione!

Per leggere la trama clicca qui

Baci all’inferno

Baci all’inferno

Non so dove vi porterà questo viaggio, sicuramente in un luogo oscuro verso il quale difficilmente rivolgiamo lo sguardo, preparatevi ad un viaggio molto pericoloso, preparatevi a Baci all’inferno.


Madre, figlia;
madre, figlio.
Emozioni.
Due racconti e una pala per scavare a fondo, oltre i pensieri più inconfessabili, oltre la morbosità più oscena. Non basterà la pala, dovrete usare le unghie e continuare a grattare dentro corpi stanchi.

Mi è piaciuto Baci all’inferno?
L’ho amato e l’ho odiato e ho avuto mal di stomaco.

Mi sono ritrovata spesso a chiudere il libro a causa del persistente senso di nausea, ma in realtà non ho mai lasciato quelle righe.


Sono morta affogata dentro il flusso di pensieri melmoso che non mi permette di riemergere, una palude che tira sempre più in basso.


Desideri rubati, visi schiacciati contro il finestrino, numeri di prostitute sotto il ponte, bottiglie di plastica che galleggiano, voglie inconfessabili che sudano nella canicola estiva.


C’è puzza dentro Baci all’inferno, odore di corpi che hanno appena consumato un amplesso e lingue impastate dall’alcool.
C’è una figlia che cerca respiro e una madre che amorevolmente le preme il cuscino contro la faccia.
C’è un figlio che ha bisogno di una vita e di un pasto e una madre che desidera sigarette ed un ultimo, illusorio barlume di giovinezza.

Ho faticato a stare dentro il racconto e ho costruito ragnatele di normalità a cui aggrapparmi, ma quel flusso incontrollato di pensieri e vermi è riuscito a spezzarla, è riuscito a spezzarmi.

Esco saltellando.
C’è un messaggio, ed è una raffica di scintille come un’eiaculazione che mi fa tornare in vita.
Si diffonde nel mio corpo come una malattia.
Lo chiamo, lo ascolto, viene.
Lo aspetto all’incrocio dell’autostrada, sotto il ponte con i manifesti dell’estrema destra e i graffiti dei tossici.
Cosa c’è da capire oltre questa asfissia.
La mia testa è una grande torcia intermittente.

Il dolore è quotididiano o forse la quotidianità snervante provoca delle crepe incolmabili nella mente.

Il terrore di non aver vissuto abbastanza prende alla gola e il bisogno tossico di non lasciare andare nemmeno un’altra opportunità stringe fino a soffocare.


Mi sono pentita mille volte di aver iniziato Baci all’inferno eppure ringrazio Ariana Harwicz, già autrice di Ammazzati amore mio, per averlo scritto, perchè difficilmente incontrerò ancora pensieri scritti da poter liberamente odiare e dei quali non riuscirò più a fare a meno.

Un libro che non chiede di essere percepito con la mente, ma di essere assorbito con la pelle.

Ora non resta che leccarmi le ferite.

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