Il tempio di Fortuna. Ad una Preghiera rispose il Vesuvio.

Il tempio di Fortuna. Ad una Preghiera rispose il Vesuvio.

Ed eccolo qui il 30 agosto 2024. Esce oggi, infatti, l’ultimo capitolo della trilogia de Le lupe di Pompei: Il tempio di Fortuna.

Ho lasciato Amara sulle soglie di una nuova vita, l’avevo lasciata sapendo che la storia de Il tempo di Fortuna sarebbe stato difficile per lei.

Questo nuovo capitolo è ambientato nel 79 d.C. e, per chi non lo sapesse, si parla dell’anno in cui Pompei ed Ercolano vennero sepolte dalle ceneri della montagna: Il Vesuvio.

Se solo ora ci si ricordasse di cosa quell’eruzione provocò, forse, le prove di evacuazione non sarebbero deserte.

Anche a quel tempo erano abituati alle piccole scosse e non ci facevano caso… duemila anni dopo troviamo ancora corpi seppelliti dalle macerie.

Dove ero rimasta? Ah si! A Il tempio di Fortuna.

L’ex lupa di un postribolo di Pompei non solo è la liberta dell’ammiraglio Plinio ma è anche compagna del liberto dell’imperatore Vespasiano.

Tito, successore di suo padre, è appena salito al trono e già la concordia con suo fratello Domiziano è messa a dura prova.

Se volete un assaggio di come l’atmosfera potesse essere precaria, vi consiglio di vedere Those About to die, è ambientato nello stesso periodo della storia di cui parliamo e, se tralascio la presenza di qualche errore storico, rende molto bene l’idea dei rapporti di potere a Roma in quel periodo.

È proprio l’attrito tra i due fratelli imperiali in motivo per cui Amara è costretta a tornare a Pompei.

Sua figlia Rufina e Filone sono sempre ospiti della sua amica e Filone è ancora uno schiavo.

Andando a Roma Amara ha preferito l’agiatezza alla famiglia e ora deve farci i conti.

È proprio vero, puoi scappare da una città ma non puoi scappare da te stesso!

I problemi di Amara sono ancora tutti lì.

Gli affetti, come Britanna che ora è una gladiatrice molto acclamata, sono ancora tutti lì.

E se la nostra protagonista, alla fine, continuando a pregare perché i suoi problemi si risolvano sia riuscita, finalmente, ad ottenere proprio quello che desiderava e alla lettera?

Ricordo sempre quell’adagio che credo sia attribuito, in maniera arbitraria a Oscar Wilde, che recita: Stai attento a ciò che desideri, potresti ottenerlo.

Gli dei sono sempre in ascolto e hanno spie ovunque, alcuni camminano in mezzo alla popolazione e non si può mai sapere come decideranno di intervenire.

La ricostruzione delle scosse, della caduta della polvere incandescente, e della fuga dalla cittadina è davvero credibile. Il lettore potrà “vedere” cosa abbia patito la popolazione in fuga.

Furono davvero in pochi ad aver salva la vita.

Non c’è modo di spiegare cosa debbano aver patito coloro che fuggivano dal vulcano: il buio era totale e la polvere invadeva i polmoni.

Coloro che si sono salvati sono riusciti a farlo solo grazie ad una prontezza di spirito non indifferente.

Morì, in quelle notti anche l’ammiraglio Plinio, che tutti conosciamo come Plinio il Vecchio.

Ma non è l’unico affetto che amara perderà in quella fuga.

Quando i sopravvissuti avranno modo di farsi riconoscere dai funzionari imperiali Amara dovrà compiere una scelta.

Il tempio di Fortuna non è più visibile e quello in cui la donna pregava a Roma è ormai molto lontano.

Fortuna sarà benevola con la nostra protagonista?

Il tempio di Fortuna è la conclusione della trilogia de Le lupe di Pompei e posso dire che questi libri mi hanno coinvolta nella loro spirale di narrazione fino alla fine.

O, almeno, fino a pochi passi dalla fine.

Non so, credo che alla fine, per chiudere il cerchio l’autrice abbia un po’ corso.

Forse è solo la mia impressione, sarà che io non sento la necessità di un lieto fine in ogni storia…

Ci tengo a ringraziare Fazi editore per le copie di questa storia spettacolare e Elodie Harper per aver dato luce alle strade dell’Impero in cui nessuno guarda mai.

Il tempio di Fortuna

Altri libri di Fazi?

La casa dalla porta dorata

L’immortale

Fairy Tale. I sogni a cui non smetterò di credere

Fairy Tale. I sogni a cui non smetterò di credere

Le puoi chiamare come vuoi, racconti, storie, fiabe o Fairy Tale, ad ogni modo sono quelle che, almeno una volta nella tua infanzia ti hanno fatto scrutare dentro l’armadio o nascondere sotto le lenzuola. A volte si scordano, altre volte si portano eternamente nel cuore. Mi domando se anche tu sei un viaggiatore fra i mondi, qualunque sia la tua età.

In Sardegna anticamente venivano raccontate attorno al fuoco dalla donna più anziana, si chiamavano contos de foghile. Nella mia isola, fra Janas, Surbiles, Cogas e creature liminali, di sicuro la notte c’erano battaglie da intraprendere e oscurità profonde da varcare.

Spesso le Fairy Tale rimangono incastrate fra le tele dei ricordi, altre volte sono vecchie amiche d’infanzia che appaiono, per lasciarci con lo sguardo sognante qualche istante di troppo. Avete presente quando qualcuno vi fa schioccare le dita davanti agli occhi perché scoperti a fissare il vuoto a lungo? Chissà quale mondo si cela dietro quel vuoto…
Altre volte le fiabe non ci abbandonano mai e la sensazione è sempre quella di aver vissuto una grande avventura, di essere stati protagonisti di momenti unici e indimenticabili con la pelle e le ossa, oltre le pagine, oltre le parole.

Il biscotto di Alice o il tè col Cappellaio matto per me hanno costituito momenti strettamente connessi alla scoperta di possibilità creative oltre quelle terrene.

Fare amicizia con la propria testa, soprattutto quando si è piccoli porta a varcare cancelli il cui accesso sarebbe normalmente vietato, a visitare giardini mortali e danzare con creature dai contorni sfumati. E poi ancora le pagine sfogliate migliaia di volte, preoccupati di aver perso un passaggio o la chiave per l’altro regno.
Quanto tempo ho trascorso nascosta nello sgabuzzino in compagnia di Bastiano Baldassarre Bucci.
Arriva poi il grande maestro, il compagno di una fase più matura della vita, quella che richiede emozioni forti, che vuole brividi e notti insonni per arrivare all’ultima pagina: Stephen King.

Per me è impossibile non trovare uno stretto legame fra Charlie, il protagonista e la vita dello scrittore che, fin da piccolo si trovò a dover gestire le sofferenze dell’abbandono familiare e le difficoltà economiche.

Stephen King con Fairy Tale crea la favola dark, quella che molti di noi nostalgici aspettavano da tempo per creare il perfetto connubio fra brivido e desiderio di infanzia.

Un capanno, una botola verso un altro mondo ed un giovane eroe non apprezzato, sono elementi già visti in tanti racconti, l’abilità di Stephen King sta proprio nel saper tessere una tela unica su orditi già utilizzati.
Fairy Tale è un lungo racconto che si concede meravigliosamente di pescare dentro le grandi fiabe, di ammantarle di oscurità e spesso di dolore, di trasformarle a tal punto da renderle bisognose di un nuovo eroe.

Quasi un gioco, o meglio ancora una danza macabra con le creature che ci hanno cresciuti.

E così con Fairy Tale mi sono ritrovata a ripercorre quel sentiero di emozioni che pensavo di aver ormai dimenticato. Ho scoperto invece di avere ancora delle briciole da lasciare nel terreno e che il mio stomaco languiva ancora per un pezzo di casa della strega.

Un tripudio di sensazioni quasi adolescenziali, quando si deve essere gli eroi della storia a tutti i costi perché questo mondo continua ad ignorarci, miste però alla disillusione .In Fairy Tale tutto può crollare da un momento all’altro, risucchiando per sempre tutto ciò che ci ha tenuti vivi.

Parlo al plurale perché so che qualcun altro sa perfettamente di cosa parlo e ha appena finito di combattere con un gigante o di cavalcare un drag

Banale? Forse, se restate in superficie, ma se avete voglia di lasciarvi trascinare dalla corrente oscura delle fiabe ancora una volta, allora leggete Fairy Tale.

Fairy Tale è stato candidato al British Book Award per la narrativa nel 2023.

fairy Tale

Leggi la trama di Fairy Tale

Della stessa casa editrice:

La maledizione di Arianna

Prova a non dormire

Le figlie di Foxcote Manor

Acquista Fairy Tale

Il tempo è l’acqua, Charlie.

E la vita è solo il ponte sotto il quale

quell’acqua continua a scorrere.

L’ultimo Mago. Il grande Gustavo Rol

L’ultimo Mago. Il grande Gustavo Rol

Quando romanzi come questo vedono la luce, miei cari viaggiatori, apro la porta a ricordi che non mi appartengono, ed entro nel salotto di un uomo che ho inseguito col cuore e l’anima per tutta la vita : l’ultimo mago.

Ho letto e ascoltato tanto su Gustavo Rol, fin da quando si è iniziato a scrivere di lui e a registrare la sua voce. Poi è calato il sipario dell’interesse pubblico e per un po’ di tempo, il silenzio ha nascosto al mondo intero la luce e l’eleganza che quest’uomo sapeva abilmente trasmettere.

A dire il vero però, oltre alla semplice conoscenza delle gesta de l’ultimo mago, la vita mi ha donato dei momenti in cui la sua presenza e il suo ricordo sono stati per me una forte spinta ad andare avanti.

Nel 2021 mi sono ritrovata a soggiornare obbligatoriamente a casa di una splendida donna che, con gentilezza e tanto amore si è presa cura di me durante una lunga degenza. Fu un periodo particolarmente difficile, non ero abituata ai piccoli spazi, al traffico e ai ritmi della città, lontana dalla famiglia e dai miei figli.
Il giorno stesso in cui il tampone è risultato negativo mi sono recata nel boschetto più vicino, il parco del Valentino, perché il mio corpo aveva necessariamente bisogno di linfa, di camminare sulle foglie secche, di guardare l’acqua scorrere.

La sera lungo la strada per rientrare, ricordo che il mio sguardo è stato attratto da qualcosa, come una calamita. Fisso un punto ben preciso e scruto le imposte di un appartamento nascosto dai rampicanti. Con sorpresa la mia amica mi dice che quella è la casa di Rol ed io finalmente, dopo ventuno giorni di tensioni e paure, mi sono sentita al sicuro.

Francesca Diotallevi riporta alla luce il ricordo di Gustavo Rol con L’ultimo mago. Lo spolvera amorevolmente come avrebbe fatto lui con i suoi amati oggetti di antiquariato, per consegnare a questo mondo la storia di un uomo unico che è stato amato, seguito e solo parzialmente compreso.

Si può parlare di magia e spiritismo senza necessariamente appartenere al carrozzone di personaggi pittoreschi che spingono pur di raccontarci la loro grande verità.

La conoscenza è anche discrezione e l’ultimo mago ha preferito condividere con una ristretta cerchia di persone il suo sapere. Un gruppo di persone che ovviamente, rimaneva strabiliata e sconvolta dalle sue capacità.

L’ultimo mago è scritto con toni eleganti e sobri, proprio come il personaggio di cui si parla, quasi come se l’autrice volesse accompagnaci dentro la sua vita seguendo questo filo conduttore.

Una scelta di buon gusto a mio parere, in grado di accentuare ancora di più l’eleganza del dottor Rol.

Attorno a questo filo si intrecciano storie d’amore tormentate, traumi di guerra e amicizie dal sapore antico. come piccoli gioielli che ruotano attorno alla vita del L’ultimo mago.

Gustavo Rol con tocchi leggeri e con estrema discrezione, si fa tramite di messaggi che, in qualche modo sciolgono i nodi dei tormenti d’amore, placando le tempeste interiori.

Ad accogliere la vita di un uomo tanto singolare c’è una città che, ancora oggi nasconde tanti segreti. Meravigliosa Torino, che ci accoglie fra le braccia della Grande Madre, grande polmone millenario di storia. Una città che sa raccontare ed ispirare, in grado di rimanere immobile mentre il tempo scorre inesorabile.

Dentro questa splendida corona che è Torino si incastona perfettamente Gustavo Rol che nell’attimo della sua vita, ha compreso e afferrato misteri la cui essenza sfugge alla maggioranza.

L’ultimo mago è poesia e alchimia insieme, è destrezza narrativa, un’opera d’arte che soltanto una grande scrittrice poteva comporre.

Questo romanzo segna per me una nuova partenza, dopo un lungo silenzio. Forse non è un caso che anche questa volta la presenza dell’ultimo mago sia stata discreta ma decisiva nell’indicarmi la direzione. Finalmente riprendo a leggere, finalmente mi concedo di parlare di magia usando le parole che amo, ora lascio che sia.

L'ultimo mago

Leggi la trama dell’Ultimo Mago

Le ultime recensioni Neri Pozza

Una minima infelicità Carmen Verde

Demon Copperhead di Barbara Kingsolver

Non sono un uomo,

sono un’ombra

che fugge tutto e se stessa.

Demon Copperhead, un fiume in piena di fascino

Demon Copperhead, un fiume in piena di fascino

Demon Copperhead ha rubato il mio cuore nell’istante in cui i miei occhi si sono posati sulla copertina, composta da una miriade di simboli che raccontano la vita del protagonista.

La narrazione inizia così:

“Prima di tutto, sono nato. C’era una discreta folla ad assistere all’evento e, come sempre, è tutto quello che ha fatto: il grosso del lavoro è toccato a me, dato che mia madre era così per dire fuori combattimento.”

E sono bastate poche parole per accendere in me una curiosità divorante.

Dovevo sapere, capire come si sarebbe sviluppata la vita di Demon, quali sfide avrebbe incontrato, quali conquiste e quali sofferenze avrebbe attraversato.

A lettura conclusa mi sono resa conto che raccontare un romanzo così corposo, così denso di dettagli e di umanità non sarebbe stato facile.

Per definire questo libro userei un’espressione: un fiume in piena.

Seicentocinquantuno pagine che ti fanno immergere profondamente nel mondo di Demon, una discesa in apnea che in più momenti mi ha costretto a fare delle pause per riuscire a gestire le emozioni che stavo provando.

Demon Copperhead è un moderno David Copperfield.

Nato in un contesto americano familiare e sociale di degrado, un ragazzo alla disperata ricerca del suo posto nel mondo.

“Mi riempio come una ciotola sotto un rubinetto che gocciola. Mi riempio d’odio mentre aspetto che quell’uomo passi.”

Avrei voluto tanto abbracciare Demon, incoraggiarlo a non mollare, spronarlo a reagire come fosse stato un caro amico.

“Mamma mi stava assegnando il super potere di tenere lei sobria e la nostra famiglia in riga. Un peso mica da poco.”

La narrazione è gestita egregiamente da una scrittura degna da premio Pulitzer.

Una scrittura sapiente, coinvolgente, capace di instaurare già dall’incipit un feeling con il lettore.

Quali tematiche affronta ?

Demon Copperhead affronta tematiche di denuncia molto delicate come la tossicodipendenza, i servizi sociali, le famiglie affidatarie e lo fa con il giusto equilibrio, intrecciandole alla trama senza mai appesantire.

Attorno alla figura di Demon ruota un universo di personaggi estremamente realistici, generosi, cinici, sbandati, divertenti, falliti, sfortunati.

“Per un attimo la luna ci ha sorriso dalla finestra e ci ha detto che il mondo ci apparteneva. Perché tutti gli adulti se n’erano andati chissà dove e avevano lasciato ogni cosa in mano nostra.”

Vorrei fare un plauso all’autrice per aver dato profondità, voce e spazio a tutti i personaggi, principali e secondari: il loro essere così umani, nel bene e nel male è la forza del romanzo.

Qualche lettore avrebbe preferito che Demon Copperhead fosse sfrondato di un centinaio di pagine, ma io mi permetto di dissentire, perché quando un racconto è così bello ed è scritto così bene, ogni singola pagina diventa preziosa.

L’unico pericolo, una volta conclusa la lettura è di non riuscire a superare il coinvolgimento emotivo e trovare una storia che sia all’altezza di un tale capolavoro.

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Una minima infelicità di Carmen Verde

Elisabetta di York. L’ultima rosa bianca di Alison Weir

La maledizione di Arianna. Il labirinto della bestia umana

La maledizione di Arianna. Il labirinto della bestia umana

C’era una volta, in un’antica città, un palazzo di cui si parlava in ogni angolo della Grecia. Si narrava che la sua regina avesse partorito un mostro; si raccontava che la figlia del re fosse scappata con uno straniero; si vociferava che la ragazza fosse stata abbandonata su di un’isola e qui l’avesse sposata un dio. La maledizione di Arianna parla di questo antico canto ma è molto di più.

La maledizione di Arianna non è il primo retelling sul mito della principessa Arianna di Creta.

Jennifer Saint in Arianna e Laura Shepperson in L’urlo di Fedra, anche se ovviamente la figura di Arianna è sullo sfondo della storia di Fedra, hanno dato un nuovo respiro a questo mito che parla di una principessa ribelle ma la sostanza del mito era rimasta piuttosto intatta.

Sara A. Benatti non solo decide di affrontare una storia che in molti conoscono per i motivi più vari ma decide di variare.

La maledizione di Arianna è il mito ma al contempo cambia rimanendo fedele a se stesso.

Di solito, quando si narra la storia della principessa cretese, l’azione si svolge nei luoghi del palazzo, al porto, le varie tappe del viaggio con Teseo e poi la storia d’amore con Dioniso.

Ad un certo punto, nella storia di Arianna c’è sempre il labirinto e il Minotauro ma, se escludiamo l’episodio del filo e dell’uccisione di del “mostro” partorito da Pasifae, l’opera di Dedalo e il suo ospite sono sempre sullo sfondo della questione.

È un po’ come parlare di Pompei dimenticandosi del ruolo svolto dal vulcano.

La Benatti, finalmente, usa quell’ambiente ristretto.

Il luogo che rappresenta il mondo, la reclusione, la crescita, la perdita e il ritrovamento e lo usa per narrare questa storia su molti livelli di narrazione.

La maledizione di Arianna è un romanzo dagli spazi stretti, di introspezione e di situazioni in cui non esiste lo spazio per il grigio.

La maledizione di Arianna è grado anche di mettere sullo stesso i suoi personaggi, non sono quelli resi famosi dal mito ma anche coloro che non parlano mai.

Non ci sono nobili, ci sono solo persone.

Non ci sono poveri o prigionieri politici, ci sono solo sacrifici.

E poi c’è Asterione.

Il diverso mandato ad essere il cattivo. Colui che non ha mai saputo come essere umana e ha conosciuto solo la madre.

La maledizione di Arianna è la storia della Bestia.

Non solo il minotauro ma la bestia che si annida dentro di noi.

È anche la scoperta della via per tornare ad essere umani, se si ha la forza ci cercarla.

Nel labirinto ci si può perdere ma ci può anche ritrovare.

E voi direte, ma che ne è di Nasso? Di Dioniso? Della loro storia d’amore?

Dioniso, nella storia di Arianna è sempre colui che si innamora, la divinità che una volta che si è stancata se ne va lasciando Arianna.

Dioniso è uno spirito libero ma è un labirinto lui stesso.

La maledizione di Arianna è in definitiva IL LABIRINTO.

L’autrice ha creato un gioco di tranelli che è difficile vedere.

Un gioco che non risparmierà nessuno.

La maledizione di Arianna

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Willie lo strambo

Clitemnestra. La Regina che uccise Agamennone per giustizia.

Sono le storie il tessuto del mondo“, dice la dea. “Il minotauro che tu temi ne è solo uno degli attori, il nemico e il protagonista, l’assassino e il prigioniero. E ogni storia nutre la meraviglia del mondo e lo mantiene così vivo.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti. Noir e la desolazione dell’indifferenza umana

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti. Noir e la desolazione dell’indifferenza umana

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è un libro che, forse, non avrei mai letto se non fosse stata per una delle ragazze che lavora nella libreria dove vado.

Olga Tokarczuk è una delle scrittrici polacche più amate, vincitrice di numerosi premi tra cui spicca il premio Nobel per la letteratura nel 2018, eppure io non la conoscevo affatto.

Lo so, dovrei essere più sul pezzo ma non posso essere ovunque.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti: già solo il titolo è esplosivo per la mia immaginazione.

La prima cosa a cui ho pensato è la mitologia celtica.

Una Morrigan che con il suo carro da battaglia è pronta a consumare la vendetta per i torti contro il suo popolo.

Invece ho scoperto che è William Blake che ha ispirato il titolo di questo libro.

Anche in merito alla letteratura inglese dovrei essere più sul pezzo, per fortuna le lacune possono venire colmate da altre persone che consigliano libri agli altri.

Non ho sbagliato di molto, la Vendetta centra eccome.

William Blake è una presenza costante in questo libro.

La protagonista Janina Duszejko, tra le sue molte occupazioni, aiuta un suo ex allievo nella traduzione in polacco dell’opera di Blake.

La prima cosa che mi ha colpito è la desolazione del paesaggio. Un francobollo di natura quasi disabitata, dai paesaggi sconfinati ma in cui, essenzialmente, se un albero cade nessuno lo sente.

Tutti tranne la signora Duszejko.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è anche una storia di desolazione.

Non una desolazione fisica ma morale.

Una delle scene del libro mi ha trasportato in un dialogo di un film che amo molto che è Donnie Darko.

Anche lì si parla di fatalità della vita ma quello che mi riporta al libro in questione è quando la professoressa spiega come CELLAR DOOR sia una delle espressioni più belle e vere della letteratura.

Di sicuro, l’intimità della cantina ha molto da narrare in questo libro anche se ci entrerete solo poche volte.

Nel silenzio della neve e delle tempeste notturne, vengono consumati degli omicidi.

La signora Duszejko lo sa, sono OMICIDI non incidenti ed è sicura di avere le risposte che la polizia ignora: sono gli animali ad uccidere.

Un branco di cerve.

E anche sulla mitologia del cervo vendicatore si potrebbe dire molto di più ma non è questo il luogo e non credo sia importante parlarne in questa sede.

Inoltre Duszejko è convinta che il vero motivo delle morti, se ovviamente si esclude che in giro c’è un assassino, è scritto nell’oroscopo delle vittime.

Se una signora piuttosto bizzarra venisse da voi dicendo che sono le cerve ad uccidere, gli credereste?

Ecco, quindi potete immaginare la faccia e l’atteggiamento della polizia alle accuse lanciate dalla signora.

Di norma, un libro come Guida il tuo carro sulle ossa dei morti non è nel mio genere di lettura.

Non capivo perché la mia libraia me lo avesse consigliato, eppure mi conosce.

Forse lei mi conosce meglio di quanto credo.

C’era qualcosa che dovevo scoprire.

Questo è un libro che parla di solitudine, di ingiustizia, di sbilanciamento e del rapporto con il diverso.

È una storia che, sotto la coltre innevata della signora stramba con le buste della spesa che si aggira tre le case vuote del vicinato, nasconde porte di abissi.

Ma gli omicidi?

Ve l’ho detto, sono le cerve che uccidono per vendetta.

Sta a voi scoprire come, no?

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti è un romanzo che non ha bisogno di raccontare attraverso la storia.

È un romanzo che parla tra la punteggiatura, tra le sospensioni di una scrittura morbida e dalle fosche tinte noir.

Un libro morbido come la neve e letale come una tagliola per volpi.

Guida il tuo carro sulle ossa dei morti

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“Ritengo che ciascuno di noi veda gli altri Uomini alla sua maniera, quindi abbiamo il diritto di dare loro il nome che riteniamo più adatto e appropriato. Proprio così, abbiamo un sacco di nomi. Ne abbiamo tanti per tutte le perone con vui abbiamo qualche legame.”